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NERUDIANA DISPERSA - vol. I (1915-1964) > da 1915 a 1919
Sensazione di classe di Chimica
SENSACIÓN DE CLASE DE QUÍMICA. (Pagina 165.) Giocare con versi sdruccioli è un’altra forma di conquistare distanza e libertà creatrice. Neftalí vive un periodo di prove e tentativi. Davanti al titolo del poema, e sopra gli inizi dei tre ultimi versi, ci sono nel manoscritto tracciate righe con lapis azzurro (fatte senza dubbio da Neftalí) che tendo a leggere come segni di insoddisfazione verso lo scritto in questi momenti. Il testo si pubblicò in Ratos Ilustrados, núm. 27, Chillan, 18.9.1920, sotto un nuovo titolo: «Clase de química en ultra-gris».
Gli alunni fanno parallelepipedi
o copiano incisioni dal libro di Chimica,
mi rode il fastidio mordente del bipede
che sente la ferita della metafisica.
Odiosa mugugna la voce pedagogica!
... acido stearico... chimica sintetica...
tante indiavolate curve psicologiche
nella gelatina delle mie energie!
La pioggia nei vetri lascia le sue rose
ed io penso, penso come un poeta
che a volte detesto ed a volte... invidio...
La ferita, che diavolo! di vecchia si avvizzisce
e sulla sedia mi china l'angoscia...
Angoscia? Fastidio, fastidio, fastidio!
Clase de Química, Luglio 1920
Ratos Ilustrados, num. 27, Chillan, 18.9.1920,
sotto il titolo "Clase de Química en ultragrís."
Elogio delle mani
ELOGIO DI LAS MANOS. (Pagine 166-167.) Il trittico si pubblicò su Selva Austral, núm. 3, Temuco, 1920.
MANI DI CONTADINO
Mani rozze ed oneste. Mani buone
che nel pomeriggio si addormentano, miracolose,
sotto l'influsso della luna piena
benedicendo i seni della moglie.
E si addormentano stanche del lavoro vinto
come nello sfregamento di un fluente incantesimo,
hanno tra i muscoli fiori induriti
di avere coltivato molto ed avere seminato tanto!
Santificate siano in ogni litania:
ci danno il grano biondo ed il pane di ogni giorno
e seguono i precetti che desse loro il Signore.
Dovrebbero riempirle di perle e di gemme:
mani di contadino che sono come poemi
in cui i versi annusano la terra ed il sudore!
MANI DI CIECO
MANOS DE CIEGO. (Pagine 166-167.) Seconda versione dentro il quaderno 2 che rispetto alla prima, pagina 159, porta il titolo definitivo ed i varianti "monaci" per "frati" nel v. 7. Il manoscritto portava "lunghe dita nere" nel v. 12, senza dubbio per disattenzione della copista Laura Reyes che trascrisse questa pagina. Correggo secondo la prima versione di questo quaderno e secondo la terza che viene nel quaderno 3, uguale a questa seconda, entrambe manoscritto per Neftalí. - Questa versione definitiva del poema si pubblicò dentro il trittico "Elogio de los manos" su Selva Austral, núm. 3, Temuco, 1920 separatamente in Claridad, núm. 12, Santiago, 22.1.1921, ed in Silva Castro, p. 32.
Dammi le tue mani, cieco. Le mani dei ciechi
sono come le radici di questi uomini inerti:
si scottano ritostate dal sole in gennaio
e nell'autunno sentono come arriva la morte.
Tagliate e sottomesse nel silenzio vivono
spolpando nelle loro dita il filo del dolore
e lo filano raccolte come monaci umili
che stessero filando le parole di Dio.
I ciechi hanno tutta la loro anima in queste mani
aspre di sfiorarsi coi membri umani,
oltrepassate di dolore, tremule d’amore...
Tremano come cordami le lunghe dita magre
e sembrano due sacre colombe di miracolo
tagliate e sanguinanti di notte e di dolore...
MANI DI TISICO
MANOS DE TÍSICO. (Pagina 167.) Versione trascritta anche da Laura Reyes, con un'altra disattenzione nel v. 4: "cansancio que este nunca deja florecer (stanchezza che mai questa smette di fiorire)" (verso corretto per Neftalí nel quaderno 3).
Mani che furono buone come un canto sorridente
sentendo la tristezza di una strada di ieri
perse nella profonda stanchezza del sogno,
stanchezza questa che non smette mai di fiorire...
Mani di malato, mani tisicamente buone,
austeramente sacre nella loro triste virtù.
(Io ho visto nella bianchezza di quei due gigli
la rotta peccatrice di una vena azzurra...)
Mani che col tempo, tubercolosamente,
hanno sentito la fuga delle anime ardenti
lontane compagne dei suoi 18 aprili.
E che ora nel pomeriggio si avviliscono tremanti
perché mentre passano desolanti le ore
si vanno coprendo di oro come vecchi avori.
1920
I tre sonetti furono pubblicati in Selva Austral,
num. 3, Temuco, 1920. Solo "Manos de ciego" in
Claridad, num. 12, Santiago, 22.1.1921.
[L'uomo è un sterile silenzio contadino]
L'uomo è un sterile silenzio contadino
dove il dubbio muore, dove muore il perdono:
non ha né la consolazione di sapere se la strada
piega per dove deve piegare il suo cuore.
Nella nostra vita triste ha un qualcosa di sfida
questa supplica alla vita affinché non faccia male
e diamo in parole tutto il nostro segreto:
segreto più semplice di una vergine rurale.
Norma di disubbidienza
NORMA DE REBELDÍA. (Pagina 168.) Il titolo primitivo del poema era Norma, scritto con inchiostro e sottolineato da Neftalí che più tardi, con matita e senza sottolineare, aggiunse de rebeldía.
Essere un albero con ali. Nella terra potente
denudare le radici e consegnarle al suolo
e quando sia molto più ampio il nostro ambiente
con le ali aperte consegnarci al volo.
La ricerca
LA BUSCA. (Pagina 168-169.) Anche precoce la menzione di Nietzsche, come prima quella di Schopenhauer. "Adolescenti eravamo, stupidi innamorati / dell'aspro tenore di Sils-María, / quello sì ci piaceva / [...] / briciole di pane nelle tasche rotte, / briciole di Nietzsche nelle povere teste" (Defectos escogidos, "Paseando con Laforgue"). Al proposito cfr. «Migas de Nietzsche: el subtexto de El hondero entusiasta», articolo di Alfredo Lozada in Revista Iberoamericana núm. 123-124, Pittsburgh (1983). - Verso 9: la contracción quel, así en el manuscrito.
Il buon matto di Nietzsche diceva:
nella casa piena smetti di cantare
ma canta e canta nella casa vuota:
la tua voce sia un grido sciolto nel mare.
Canta nel silenzio la tua canzone prima,
lancia nel silenzio la tua ultima canzone
di fronte al miracolo della primavera
che continua a fiorire il villaggio interno.
Questo è quello che il pazzo Nietzsche diceva
ed io continuo a cercare la casa vuota
pensante e vibrante come un cuore.
Già mi sto stancando di cercare in vano:
non trovano i miei occhi, i miei piedi né le mie mani
la casa in cui devo cantare la mia canzone.
1920
Alba
Questa mattina il sole uscì presto:
io stavo nel lavoro della mattina.
Alzai le mie due mani,
feci un'azione di grazie.
Come canzoni due uccelli volarono
e si persero nella lontananza,
ed i due monti come due miracoli
mi sorridevano...
Tremò il mio cuore al nuovo giorno
che la luce aveva appena partorito.
Grazie incandescenti come quelle mie
nessuno poté sentire.
Conficcai le mani nel solco nuovo
tremante d’amore.
Questa mattina sui terreni
uscì presto il sole.
1920
Egloga semplice
ÉGLOGA SIMPLE. (Pagine 170-171.) Questo poema va nelle pp. 291-292 del quaderno 2. La p. 290 porta una sola parola al centro: Biografas, scritta con lettera grande, ovviamente un titolo per un nuovo ciclo di poemi, o per un altro libro "per presentarsi". Nel manoscritto la lettera di Neftalí tende a cambiare dal tratto inclinato, predominante fino a qui, verso una grafia verticale e rotonda, più grossa e di maggiore pretesa. Ma in realtà si tratta solo di una variante della sua lettera abituale, qualcosa più "artistico" magari.
Egloga: antico componimento poetico di tema pastorale
Il paesaggio semplice mi è entrato nelle retine
come una strada nuova piena di chiarezza.
Le foglie gialle
si stancano di sperare
ed i tronchi nodosi si mettono in ginocchio
davanti al miracolo unanime di un dorato campo di grano.
I pioppi si alzano
e raggrinziscono le ramature supplicanti
in una petizione di carità
che fa loro più soavi
che la stessa bontà.
Il fiume corre, bolle e scivola
in un miracolo di tranquillità
che fa più dolce l'acqua campagnola
alle mie pupille di uomo di città.
Il fiume fluisce come uno spiovente
che invece di acqua porta castità.
Due donne
parlano e bevono acqua e mangiano pane.
... Pane campagnolo, aspro e saporito,
pane che la madre impasta mentre lo sala
e che oltre a misericordioso
è aromatico
e materno.
Pane che si offre all'uomo del villaggio
affinché sia forte, affinché coltivi di più,
e getti la semina ubertosa
nel solco, contento della sua animalità.
Pane campagnolo, dammi le tue viscere,
Pane,
per la mia primavera desolata,
Pane,
come una benedizione di questo paesaggio
nella consolazione del mio canto.
1920
Autunno
Tanto male che mi facesti
donna degli occhi lontani!
Le strade migliori stanno diventando tristi
e tutti i desideri mi diventano anziani.
Ma alla primavera
cureranno i miei germogli
ed astrale e santa sarà la prima
rotta degli autunni!
Saprò guardare la nuova fonte dei miei incantesimi,
come una rondine saprò guardare il sole:
dirò una strofa dolce in ogni disincanto
ed in ogni imbrunire dipingerò un rosso.
Tutto il male che mi hai fatto, tutto il male che mi hai fatto,
con la nuova speranza sparirà.
Ed sotto il vecchio soffitto
tutto secco mi vedrà.
Un po' più dolente, un po' più anziano,
Ma con un miele più sereno nel petto.
Come saprò piacere, donna degli occhi lontani,
tutto il male che mi hai fatto!
1920
Ballata dell'infanzia triste
La mia infanzia triste come un canto che continua
per perdersi nella nebbia, nella luce o nel mare.
Infanzia mia triste
e chiara come un bianco voto di castità.
Le mie ore lontane, le mie ore perse
che tra la lontananza si santificano più.
Né un fratello. Né affetti. Appena la foschia
delle cose lontane che poterono arrivare...
Chi intorbidò la mia infanzia, chi mi varò ceneri
di morto? Che cosa mi diedero, che cosa mi diedero, Signore?
Chi raccolse l'affetto delle mie dolci bontà,
i liquori rosati del mio buon cuore?
Mi imputridirono il vino gli odi ancestrali?
Ebbero le mie ferite uomini di altre età
che non conosco ancora?
Infanzia mia triste come un giorno di pioggia,
in cui disfeci tutta la sete della mia dolcezza
nel guardare la strada, sempre di più azzurra!
INVIO
Pioppi della strada, questo cantare che abbia
tre parti di stanchezza ed una di benedizione,
stanchezza, le mie passeggiate sotto gli albereti.
Che benedetta sia la prima canzone!
Pioppi, sono uscito dalla mia infanzia muschiosa
in cui solo la strada mi parlava di emozione:
imparai [a] amare gli alberi e contemplare le cose
mettendo nelle mie pupille un po' di emozione.
Pioppi, per le mie ore
lontane benediciamo la prima canzone!
1920
Prugni fioriti
Nell'orto piccolo tanto dolce
di intimità che accecano le più minime cose,
le lattughe umili hanno qualche profumo
e la terra è amica, plasmata ed aromatica.
I prugni alzano le corolle
fiorite e tremano di un tranquillo amore.
Ristagna così un'onda
un profumo di terra ed un battito di sole.
1920
[La collegiale aveva]
[LA COLEGIALA TENÍA] (Pagine 173-174.) Sotto la data "1920" il manoscritto aggrega in tre linee: "Bianca / amore / terminato" e più sotto una croce. Nel 1962 scrisse Neruda queste linee che dopo passarono a Confieso que he vivido:
I primi amori, i puri, si sviluppavano in lettere inviate a Blanca Wilson. Questa ragazza era la figlia del fabbro ed uno dei ragazzi, perso di amore per lei, mi chiese che gli scrivessi le sue lettere di amore. Non ricordo come erano queste lettere, ma forse furono le mie prime opere letterarie perché una certa volta, trovandomi colla collegiale, questa mi domandò se io ero l'autore delle lettere che gli portava il suo innamorato. Non osai rinnegare le mie opere e molto turbato gli risposi che sì. Allora mi donò una cotogna che ovviamente non volli mangiare e conservai come un tesoro. Spostato così il mio compagno nel cuore della ragazza, continuai scrivendole interminabili lettere di amore e ricevendo cotogne.
La collegiale aveva
gli occhi tanto carini!
Io me la incontrai nel pomeriggio
di un giorno
di domenica.
La collegiale aveva
gli occhi profondi,
io mi sentii buono come
un alberello nudo...
Da quello pomeriggio noi
andiamo insieme alla scuola..
1920
Il sonetto pagano
EL SONETO PAGANO. (Pagina 174.) Nel manoscritto i vv. 7-8 che riproduco sostituirono i seguenti: «... y el pasado que baja... y el porvenir que llega / en el anegamiento del goce sufridor...»; e il v. 10 riporta il verbo abrazó, che credo pertinente sostituire con abrasó, come prima in «Los sonetos del diablo» (vedere sopra la mia nota ai predetti sonetti).
Come un solco in riposo sentii il tuo corpo aprirsi
per ricevere l'offerta massima del mio essere.
... Sentire, tremar, ed oh terra! affondare, affondare, affondare,
così come i soli nell'imbrunire...
E la semina calda che discende e che consegna
il suo tesoro istintivo di sangue e di caldo,
mentre nel vuoto tremano le mani cieche
d’aver toccato tanto grappolo di splendore.
Soli d’autunno, venti del nord, getti di trillo!
Chi mi bruciò le mani? Chi mi perse la strada?
Uve di quali vigneti spremerono in me?
... Ed ora tra la nebbia totale dei miei sensi
so che nella mia vita vergine il tuo corpo si è terminato
e che benché mi vincessi, anche io ti vinsi!
1920
L'angoscia
LA ANGUSTIA. (Pagine 174-175.) Nel manoscritto, con lapis azzurro, Neftalí scrisse «La angustia» sopra il titolo originale del poema che era «El silencio» (e che CDT conserva, sicuramente perchè la fotocopia non registrò la correzione). Altra copia del testo, includendo il facsimile, in Silva Castro, pp. 145 y 2.37. Lo stesso facsimile in CEG.
Bovara, le strade si sono riempite di fiori
ed i tuoi piedi si disfano di stanchezza, perché?
Il male di quale origine bagnò la tua primavera
che ieri era di rosa e prima era di miele?
E - oh! silenzio, silenzio - è che tu, contadina,
morrai anche?
Facsimile del manoscritto in Silva Castro, p. 145.
La maestrina quella...
Quella maestra bionda come le messi
- tanto bionda che all'inizio la crederono inglese -
è triste come prima, tanto triste!
Se sembra
che dal suo arrivo si ammalò di tristezza!
Alcuni gli dicono Celia ed altri gli dicono Marta:
ella risponde sempre con tutta indifferenza.
È già tanto tempo che non riceve lettere
che sembra che nessuno si dispiacesse della sua assenza!
La vogliono i ragazzini della classe benché lei
stia molto più triste ogni volta,
triste quando parla loro di lontane stelle,
triste quando domanda quanto fa otto per tre.
Ed ieri sillabandogli un nome del dettato
salì agli occhi la nebbia del passato
e dietro il banco rimase senza parlare...
Allora sotto il peso di un dolore infinito
i bambini della classe - povero cuoricini
che non sanno quello che fanno! - scoppiarono a piangere...
1920
[La tua lunga chioma straziata]
[TU LARGA CABELLERA DESGARRADA.] (Pagina 176.) Neftalí corresse il v. 2, che in origine era: «tus ojos azules machucados».
La tua lunga chioma straziata,
le tue pupille brune pestate
per l'odio del sole ti farà morire
e così la mia primavera desolata
riceverà ogni residuo in ogni
vuoto delle due mani che ti tendo.
E così saprai che i miei dolori muti
più tristi e più grandi e più profondi
resisteranno nel supremo orgoglio
di sapere che sapendomi nudo
ed offrendoti tutto quello che nascondo
morranno le mie ossa con le tue.
1920
[Non essere come l'albero primifloro]
[NO SEAS COMO EL ÁRBOL PRIMIFLORO] (Pagina 176.) Senza data nel quaderno 2, il facsimile di una versione manoscritto riprodotta in Silva Castro (p. 65) permette di stabilire che questo poema fu scritto nell’ottobre di 1920. Molto probabilmente è il primo poema che Neftalí firmò collo pseudonimo appena inventato. Nella prima sopraccoperta interna del quaderno 2 è una firma: Neftalí Reyes. Immediatamente sotto il poeta manoscrisse: Pablo Neruda - da ottobre 1920. Non tornerà ad usare il nome Neftalí Reyes nei suoi scritti letterari. Sull'origine del pseudonimo, richiamo l’attenzione alle straordinarie rivelazioni di Robertson (1999).
Non essere come l'albero primifloro
che dopo avere dato foglie e esser morto
comincia a fiorire.
Il tua vita
ha bisogno di terra rimossa
germinatrice e buona. Ogni passo
di autunni deve essere come una rotta
che ti illumini di sole le gemme nuove.
Poi ardere, affondare nello spasmo
di fiorire e fiorire...
Più tardi
la primavera passerà cantando...
1920
Facsimile del manoscritto in Silva Castro, p. 65.
Sensazione di odore
SENSACION DE OLOR. (Pagina 177.) Prima versione del poema che dopo sarà compreso in Crepusculario. Il manoscritto non porta data ma le allusioni religiose (campane, novene, messe, i "lilla conventuali") potrebbero trarre origine del fervore collettivo e provinciale intorno al Mese di Maria in novembre (che a Neftalí interessava piuttosto per ragioni profane di ordine sentimentale).
-Titolo originario del poema: "Nostalgia", sul quale Neftalí scrisse con matita azzurra il nuovo titolo.
-Correzione anche nel v. 10 che diceva: "vergines que tenían azules la pupilas".
Fragranza
di lilla...
Oh dolci imbrunire della mia lontana infanzia
che fluì come l'alveo di alcune acque tranquille.
E dopo un fazzoletto tremando nella distanza.
Nel cielo di seta la stella che tremola...
Nient'altro... Piedi stanchi nel lungo errare
ed un dolore che trema che si solleva che si assottiglia...
Là lontano campane, novene, messe, ansie,
vergini che avevano tanto dolci le pupille...
Fragranza
di lilla...
Questo poema passò a Crepusculario, 1923, con varianti.
Contadina
CAMPESINA. (Pagine 177-178.) Prima versione di un altro dei cinque poemi del quaderno 2 che passeranno a Crepusculario, in questo caso con varianti nei vv. 11-12 e 15-16, cfr. il volume I di queste OCGC, p. 141.
Tra i solchi il tuo corpo bruno
è un grappolo che arriva alla terra.
Gira gli occhi, guardati i seni
sono due semi acidi e ciechi.
La tua carne è terra che sarà matura
quando l'autunno ti tende le mani
ed il solco che sarà la tua sepoltura
tremerà, tremerà come un umano
ricevendo le tue carni e le tue ossa,
rose di polpa con rose di calce,
inumidite nel fascino
di essere pulite come un vetro.
La parola di che concetto pieno
sarà il tuo corpo? Non devo saperlo!
Gira gli occhi, guardati i seni.
Forse non riuscirai a fiorire!
Novembre 1920
Questo poema passò a Crepuscuiario, 1923, con lievi varianti.
[Sul marciume dei riti umani]
[SOBRE LA PODREDUMBRE DE LOS RITOS HUMANO] (Pagina 178.) Dal 16° compleanno si nota un cambiamento di mentalità o di ideologia nei testi di Neftalí, che ha lasciato dietro la scettica amarezza e l'intima diminuzione per assumere invece, crescentemente, un ideale di perfezionamento spirituale (rispetto a sé stesso) e di fraternità solidale o compassionevole (rispetto agli altri). Il presente sonetto illustra egregiamente questa fase della poesia di Neftalí (ora Pablo), forse influenzata da letture di Tagore, di scrittori russi e di umanisti europei confrontati con gli effetti della prima guerra mondiale. Fase che si prolungherà con variazioni e sfumature diverse fino a metà del 1922, con sarcastico riassunto ed epitaffio nel 1923 con "El estribillo del turco" di Crepusculario, volume I di queste OCGC, pp. 118-120.
Sul marciume dei riti umani
fratello, ogni giorno devi essere migliore
sebbene il giorno che viene ci porti una delusione
sebbene domani stesso muoia l'illusione.
Che la strada che finisce ci elevi ad un'altra strada
che il fiore che inaridisce fiorirà dopo
fratello non curarti di macchiare la dimenticanza
se invece di carne porti un grappolo di miele!
Più dolce ogni giorno sui marciumi
carne che fosse frutta di sacre dolcezze
di sacri entusiasmi e di sacra emozione.
Fratello, le strade si vanno facendo rette:
che il roseto che ti fiorisce veda più perfetto:
fratello ogni giorno devi essere migliore!
1920
Primavera [2]
La pioggia cade, pagliacci,
sulle strade bagnate.
Occhi che niente guardarono,
bocca che non disse niente.
(Oh Primavera di grumi
dolci, di carni rosate,
cieli di un azzurro oscuro
ed acque di colore di acqua.)
Ora
carminio su bocche morte,
scherzo,
festa.
Per chi arrivasti, per
chi arrivasti, Primavera?
1920
Ratos Ilustrados, núm. 27, Chillan, 18.9.1920,
sotto il titolo «La primavera nueva».
L'amore che non vuoi
Un amore di carezze letali. Un lontano
fiorire di dolcezze sulla tua primavera!
Non è certo. Appena questo che ti dicono le mie mani,
neanche la mia bocca ti dirà quello che voglia.
Semplice. Chiaro. Dolce come una meraviglia
ignorata la mia anima ti consegnerà il suo amore:
ci diremo quelle parole tanto semplici
che tutti sanno sebbene nessuno le insegnò!
Niente di cinema. La tua anima deve darmi la stessa cosa
che un sorso di buon vino o un pezzo di buon pane.
Un amore senza dolori, un amore senza abissi
e senza romanticismo
banale.
... Un bacio, un bacio lungo ma come
tutti i baci
che si danno...
1920
[Per ogni primavera che nasce, fratello mio]
[POR CADA PRIMAVERA QUE NACE, HERMANO MIO.] BALLADA DE LA DESPERACIÓN. (Pagine 180-182.) La nuova fase di Neftalí, in generale positiva ed ottimista, si sviluppa in dialettica contraddizione con un'inquietudine, sempre di più acuta, di fronte al mistero della morte individuale (presente almeno da "Pantheos"). Tanto precoce contraddizione attraverserà - con diverse modulazioni ed accenti - tutte le fasi della poesia moderna di Neruda raggiungendo momenti di eccezionale creatività, per esempio nei poemi "Galope muerto" e "Entrada a la madera" di Residencia, ed elaborando perfino un estremo tentativo di risoluzione del conflitto in "Alturas de Macchu Picchu" di Canto general.
Per ogni primavera che nasce, fratello mio,
un'allegria dolce va morendo in te.
Non credere all'albero che trema nelle rugiade,
non credere al frutto d'oro e di rubino.
Bugiardo è l'albero, la luce, l'acqua, il frutto,
il sole, il padre massimo della nostra gioventù.
Si incurvano all'autunno gli alberi nudi
tremuli di freddo e di inquietudine.
E quando sarai morto
alberi, acqua, luce, frutti maturi
rallegreranno la primavera azzurra.
Perché ti hanno ingannato, fratello mio,
non sentiranno che sia andato via tu!
1920
Ballata della disperazione
Gli occhi verdi sono tristi: la vita passa,
il sole ciascuno giorno esce dallo stesso lato.
Ho già le pupille desolate
di non vedere una strada illusa!
Le strade sono le stesse. Il silenzio
getta la sua croce senza chiodi su me.
Pensare che quando io già sia morto
il sole uscirà...! E perché non deve uscire?
... Le strade, i marciapiedi che si allungano,
gli alberi, mani di bambino neonato...
... non c'è seta su cui scarichino i miei sguardi
... non ci sia oramai dolore che non abbia conosciuto!
Parole, atti, che cosa lontana
muove i miei piedi, disgrega il mio esistere?
Le strade che si allungano,
perché, perché si allungheranno così,..?
Una voce che mi parli,
un pianto che mi bagni,
la parola nuda che mi chiami
come la pioggia bagna ai fiori...
Che mi sia gridato una preghiera,
che mi sia intricato un canto nella gola!
Vento,
acqua!
Sono una spugna, nessuno mi ha spremuto
e sono un vino, nessuno mi ha bevuto...
Se mi riempirono di dolore le mani
Se mi contrassero fino all'infinito...
Chiamami, Sole!
Qui sto
per te e per me.
Per la triste aridità della mia opinione,
per le mani stanche di lottare,
per sperare
e per vivere!
Padre Sole, sono triste.
Dimmi,
le strade che si allungano,
perché, perché si allungheranno così?
1920
Campane mattutine
Rose che cantano, rose che inchiodano, rose che vibrano.
Santificata sia l'emozione
semplice
di oggi.
Acqua che suona dolce,
muscoli puliti, sole
forte, sangue che sale,
che arriva al cuore.
- Mani, che nuove rotte
andranno ad aprire!
In questo autunno che uve
nere e rosse andranno a spremere!
Che carni di donna pulite e pure
faranno loro rivivere!
- Occhi - amici nobili - quanti cose
rimangono da vedere!
Tanti roseti è che fino a questa ora
benché abbiano voluto
non hanno potuto
fiorire...
- Piedi,
quante strade nella lontananza,
quanta allegria
da vincere!
Campane mattutine,
chiare come vetri,
lontane da tutti i mali
delle sensazioni sensuali,
delle perversioni carnali
che frustano al mio cuore.
Grazie tremanti ed enormi le mie
per questa semplice
emozione...!
Novembre 1920
Maestranze di notte
MAESTRANZAS DE NOCHE. (Pagine 183-184.) Con modificazioni in vv. 5, 9-10 e 14, cfr. OCCG, vol. I, pp. 127-128, questo poema passò a Crepusculario. Un importante commento al testo in Concha 1972, pp. 101-105.
Ferro nero che dorme, ferro nero che geme
per ogni poro un grido di disperazione.
Le ceneri baldanzose sulla terra triste
i brodi in cui il bronzo sciolse il suo dolore.
Uccelli di quale lontano paese sconsolato
gracchiarono nella notte dolorosa e senza fine?
Ed il grido mi si è contratto come un nervo attorcigliato
o come la corda rotta di un violino.
(Ogni macchina ha una pupilla aperta
Per guardarmi.)
Nelle pareti appendono le interrogazioni
fiorisce nelle bicornie l'anima dei bronzi
e c'è un tremore di passi nei quarti deserti.
Sondando come bambini neonati corrono
e singhiozzano le anime degli operai morti.
Novembre 1920
Il nuovo sonetto ad Elena
EL NUEVO SONETO A HELENA. (Pagina 184.) Anche questo poema passò a Crepusculario, con modificazioni in vv. 12 e 13, cfr. OCGC, vol. I, p. 113. Mancanza in CDT.
Quando sarai vecchia bambina - Ronsard già te lo disse già -
ti ricorderai di questi versi che io dicevo.
Avrai i seni tristi di allattare i tuoi figli
gli ultimi germogli della tua vita vuota.
Io sarò tanto lontano che le tue mani di cera
areranno il ricordo delle mie rovine nude.
Comprenderai che può nevicare in Primavera
e che nella Primavera le nevi sono più crude.
Io sarò tanto lontano che l'amore e la pena
che prima vuotai nella tua vita come un'anfora piena
saranno condannati a morire nelle mie mani...
E sarà tardi perché morì la mia adolescenza.
Tardi perché i fiori una volta danno la loro essenza
e perché benché mi chiami io sarò tanto lontano!
Novembre 1920
Questo sonetto passò a Crepusculario, 1923, con lievi varianti.
Epitalamio semplice
EPITALAMIO SENCILLO. (Pagina 185.) Questo poema fu pubblicato, includendo il facsimile del manoscritto inviato dall'autore, in Silva Castro 1964, pp. 137 e 236.
Avevi gli occhi tristi
come due corpi stanchi…
Quanta tristezza avevi
nascosta tra le mani!
Arrivai. Arrivasti. La mia vita
fu migliore da quel
giorno in cui tu conoscesti
che io ero triste anche...
1920
Gli alberi [2]
Una tua anima è in ogni albero, una tua anima
che si ritorce in tronchi e si abbandona in frutti,
un'anima che si muove sulla terra pura
come sui seni i capezzoli oscuri.
Un uccello è ogni foglia che vola negli autunni
e che sfilacciata nutre un fiore.
Ogni tronco rassegnato, piagato e resinoso
dona per ogni stria acque di cuore...
Nella pianura l'albero è una piaga viva
che si ritosta in braci e dà ombre ancora.
Impastalo nel tuo sangue, viaggiatore che cammini
prega per che arrivi la Primavera azzurra
che gli darà tremori di linfa ed armonia
(foglia oblunga o rosata pomo di alba)
e così potranno guardare i suoi rami in alto...
È tanto dolce la saggia promessa del miele!
[Novembre 1920]
[Andare per le strade di una città bella e lontana]
[IR POR LA CALLAS DE UNA CIUDAD BELLA Y LEJANA.] (Pagina 186.) Trascritto da Laura Reyes con lettere capricciose o trascurate, il poema si interrompe bruscamente, non si sa se per qualche disaccordo tra la copista e suo fratello, o perché il poema rimase semplicemente così, incompiuto. – CDT, nel v. 5, «sin la duda que agota» (?).
Andare per le strade di una città bella e lontana
tutta piena di rose in un imbrunire,
cappello di ali larghe e mantello sivigliano
ed addolcendo le labbra un nome di donna.
L'anima tutta ragazza, senza il dubbio che agonia
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1920
Giorno mercoledì
Casetta povera.
Le galline che camminano per il patio solo,
la madre che cuce.
La madre che cuce,
che rammenda che rattoppa i vestiti stanchi
di giorno e di notte.
Ci sono negli angoli
della casa molti
fiori.
E dappertutto
la tristezza bianca
delle case povere.
1920