QUADERNO 3. HELIOS
Questo quaderno fu scritto nel Sud alla fine del 1920 e principio del 1921, durante l'estate che precedette il viaggio del diplomato Neftalí Reyes verso la capitale per iniziare in marzo gli studi universitari. Era il progetto di libro che Neftalí organizzò, con vecchi e nuovi poemi, per portarlo a Santiago come biglietto di presentazione. Sulla sua copertina si leggeva: HELIOS / poemi / di / Pablo Neruda, e sul quaderno i poemi erano stati copiati da Neftalí con la sua migliore calligrafia e disposti con estremo cura, perfino con arte. Un libro pronto per la stampa. In realtà questo quaderno era il corollario, la prova finale, il prodotto risultante dagli altri due, per cui mi sembra pertinente considerarlo come l'ultimo quaderno di Neftalí Reyes. E contemporaneamente come il suo quaderno di passaggio, di transizione verso Pablo Neruda che cominciò ad esistere davvero quando nel marzo del 1921 Neftalí mise piede nella capitale.
Il progetto Helios raccolse in effetti molti testi del quaderno 2, quasi sempre correggendoli qua e là, con ovvia intenzione di migliorarli. Il fatto stesso che Laura Reyes abbia potuto conservare questi quaderno Helios vicino agli altri due significa che Neftalí non arrivò a darlo a nessuna stampa in Santiago e che rapidamente lo respinse come insieme. Ciò spiegherebbe anche il cattivo stato del quaderno nel 1965, quando lo copiai, perché molti fogli erano stati strappati, probabilmente da Neftalí stesso per utilizzarli come originale destinati a pubblicazione in giornali o riviste. Contagiata magari dalla disistima di suo fratello verso il quaderno, Laura utilizzò inoltre le pagine in bianco e fino ai margini dei poemi per i suoi propri appunti scolastici. Non lo fece mai col quaderno 2.
Affinché il lettore abbia un'idea più esatta della struttura del quaderno 3 ho conservato i titoli delle sezioni in cui Neftalí lo divise, benché la perdita di un buon numero dei suoi poemi abbia tolto significato a tale schema.
[PERO AHORA.] (Pagine 187-188.) Nella prima copertina interna del quaderno 3 Neftalí aggregò questo poema senza titolo e scritto con matita. Il tempo ha reso difficile la sua lettura. Benché non facesse parte dei progetto Helios, fu aggregato in seguito, l'autore stesso lo suggerì come preambolo. Non fa brutta figura.
Ma adesso
che eri l'acqua dal mio punto di vista,
eri la polpa del mio pane,
eri l'ombra della mia grotta,
la regina della mia pineta,
l'ala del mio volo esperto,
il sonaglio della mia sorgente,
il fuoco agrario del mio orto,
la trasparenza del mio vetro,
dolce frutta appena morsa
che di dolce mi faceva male,
voce di ritorno e di partenza,
miele di corolla e di favo,
sentiero in cui i miei piedi rimanevano presi
come l'acciaio nella calamita,
il mio cuore che nel mio petto
forse sarebbe stato male,
ponte tra Dio e la mia tristezza,
bicchiere del cielo sopra il mare,
foraggio stellato di rugiade,
santo peccato capitale,
odore di fiore e di cammino
in un crepuscolo campagnolo
all'ombra di un meleto,
antenna fine che mi toccava,
coltello acuto che mi ammazzava,
aria, terra, canzoni, mare,
astri della notte azzurra
sull'orizzonte polare:
eri strada da seguire,
luce della stella da guidare,
e che oltre a condurre
eri la terra a cui arrivare.
Iniziale
INICIAL. (Pagina 188.) Con varianti in vv. 5-6 (cfr. OCGC, vol. I p. 111), questo poema passò alla prima edizione di Crepusculario (1923), fu eliminato nella seconda (1926) ed in tutte le edizioni seguenti fino a quella del 1967 (Buenos Aires, Losada, BCC, p. 297, 2a. edizione).
Sono andato sotto Helios che mi guarda sanguinante
lavorando in silenzio i miei giardini assenti.
La mia voce sarà la stessa del seminatore che canta
quando sparge ai solchi semine di polpa ardente.
Chiusi, chiusi le labbra - Ma in rose tremantI
mi sfuggì la voce che quasi nessuno sente.
Che se non sono pompose - che se non sono fragranti,
sono le prime rose - Fratello viandante-
del mio sconsolato giardino adolescente...
Questo poema passò a Crepusculario (1923) con varianti.
I
IL GIORNO
Alba
Questa mattina il sole uscì presto,
io stavo nel lavoro della mattina.
Alzai le mie due mani,
feci un'azione di grazie.
Come canzoni due uccelli volarono
e si persero nella lontananza...
Il solco aperto e fresco era un miracolo
che sorrideva...
Tremò il mio cuore al nuovo giorno
che la luce aveva appena partorito,
grazie incandescenti come quelle mie
nessuno poté sentire.
Conficcai le mani nel solco nuovo,
bicchiere di amore.
Colomba insanguinata - per il cielo
il sole...
Mani di contadino
MANOS DE CAMPESINO. (Pagina 189.) Neftalí riproduce qui con varianti nei vv. 6-7, 10 e 12-14, il poema già compreso nel quaderno 2 (vedere p. 166 di questo stesso volume).
Mani rozze ed oneste. Mani buone
che nel pomeriggio si addormentano miracolose
sotto l'influsso della luna piena
benedicendo i seni della moglie.
E si addormentano stanche del lavoro vinto
rudemente - in silenzio - come sotto l'incantesimo
di avere nei muscoli rosa indurite
di avere coltivato molto ed avere seminato tanto!
Santificate siano in ogni litania:
ci danno il grano d’oro ed il pane di ogni giorno
e seguono i precetti che dette loro il Signore.
Dovrebbero riempirle di fiori e di gemme,
Risate di contadino che sono tutto un poema
in cui i versi odorano di terra e sudore!
Il silenzio
Apre il clamore del tuo peccato triste
e vive e vibra solo e lentamente.
Quando passano gli uccelli umili,
uomo sconsolato, devi abbassare la fronte.
Nella cima sonora
devi avere un gesto deciso e potente
che annodi la piena santità delle ore
nella calda bianchezza delle tue mani ardenti.
Che nel nobile silenzio della tua vita penetrata
le parole non abbiano significati dolorosi,
che tutte le mattine,
uomo, tu solo sia il padrone della tua vita.
E come il candido brillare di un incendio
sommerso nella montagna delle tue ore serene,
fa che regni nella tua vita la canzone del silenzio
come un'immensa canzone buona.
Grido
GRITA. (Pagine 190-191.) Versione embrionale di un poema che Crepusculario rielaborerà ampiamente (cfr. OCGC, vol. I, p. 129).
Amore – quando sarai giunta alla mia fonte lontana,
bada a non stregarmi con la tua voce di illusione,
perché prima ero buono senza le tue due ali chiare
e perché non avevo il tuo sangue né la tua voce.
Amore - quando sarai giunta
alla mia fonte lontana
sii rovescio che scortica
sii frangente che esplode...
Amore - disfa il ritmo
delle mie acque tranquille
sappi essere il dolore che trema e che soffre
sappi essere per me l'angoscia che si contorce e grida.
Amore quando sarai giunta
alla mia fonte lontana
torcimi i versanti
contraimi le viscere.
E così un pomeriggio - amore dalle mani crudeli
inginocchiato ti ringrazierò...
Questo poema passò a Crepusculario (1923) con varianti.
Il nuovo sonetto a Elena
EL NUEVO SONETO A HELENA. (Pagina 191.) Riproduce, con alcuni cambiamenti di punteggiatura, il testo già compreso nel quaderno 2 (vedere p. 184 di questo stesso volume) e che con varianti passerà a Crepusculario (cfr. OCGC, vol. I, p. 113).
Quando saraia vecchia, bambina (Ronsard già te lo disse)
ti ricorderai di quelli versi che io dicevo.
Avrai i seni tristi di allattare i tuoi figli,
gli ultimi germogli della tua vita vuota.
Io sarò tanto lontano che le tue mani di cera
areranno il ricordo delle mie mani nude,
comprenderai che può nevicare in primavera
e che nella primavera le nevi sono più crude.
Io sarò tanto lontano che l'amore e la pena
che prima vuotai nella tua vita come un'anfora piena
saranno condannati a morire nelle mie mani.
E sarà tardi perché morì la mia adolescenza,
tardi perché i fiori una volta danno la loro essenza
e perché benché mi chiami io sarò tanto lontano!
Questo poema passò a Crepusculario (1923) con varianti.
Tropici renosi
Terra che gridi sotto il sole ardente
in mezzogiorno originario e maturo,
calcinazione di ossa e semi
nell'iperborea salatura del frutto.
La sabbia sa raccogliere il lungo
spasmo dei raggi incendiati
e restituirlo in caldo offertorio
di nudità e sferzata viva.
Sabbia... Sabbia... Terra rimossa,
olio bollente dell'estate cruda.
La vita tutta sta tra le mie vene.
Il sole sta nel mio cuore nudo!
Pantheos
PANTHEOS. (Pagine 192-193.) Riproduce il testo già compreso nel quaderno 2 (p. 157 del presente volume) e che con varianti in vv. 10-11 passerà a Crepusculario (cfr. OCGC, vol. I, p. 112).
Oh pezzo, pezzo di miseria, in che vita
hai le tue mani bianche e la tua testa triste?
E tanto camminare e tanto piangere le cose andate
senza sapere che dolori furono quelli che avesti,
senza sapere che pane bianco ti nutrì, né che duna
ti avvolse con la sua sabbia, ti fuse nel suo calore,
senza sapere se sei carne, se sei sole, se sei luna,
senza sapere se soffristi il nostro stesso dolore.
Se stai in questo albero o se piangi con me,
che cosa è quello che sei, pezzo di miseria ed amico
di ogni carne chiara che non vuole perderti?
Se vuoi non ci dire di che grappolo siamo,
non ci dire il quando, non ci dire il come,
ma dicci dove ci porterà la morte!
Questo poema passò a Crepusculario (1923).
È facsimile di una copia manoscritto da
Nerudain Silva Castro ed in CEG.
Campane mattutine
Acqua che suona dolce,
muscoli puliti, sole,
forte sangue che sale
che arriva al cuore
- Mani, che nuove rotte
andranno ad aprire!
In questo autunno che uve
nere e rosse andranno a spremere!
Che carni di donna limpida
e pura faranno loro rivivere!
- Occhi - amici nobili - quanti cuci
rimangono da vedere!
Tanti roseti è che fino a questa ora
benché abbiano voluto
non hanno potuto
fiorire...
- Piedi,
quante strade nella lontananza,
quanta allegria
da vincere!
Campane mattutine,
chiara come vetri,
lontane da tutti i mali,
dalle sensazioni sensuali
che fustigano al mio cuore:
limpido e lontano ad ogni brutta pena
sono un bicchiere grato e pieno
ho dato liquore azzurro dell'emozione...
Contadina
CAMPESINA. (Pagina 194.) Questa versione che ha cambiato rispetto alla prima i vv 11-12. (vedere pp. 177-178 del presente volume), passerà a Crepusculario solo con alcuni cambiamenti minori nella punteggiatura (cfr. OCGC, vol. I, p. 141).
Tra i solchi il tuo corpo bruno
sei un grappolo che arriva alla terra.
Ruota gli occhi, guardati i seni:
sono due semi acidi e ciechi.
La tua carne è terra che sarà matura
quando l'autunno ti tenderà le mani
ed il solco che sarà la tua sepoltura
tremerà, tremerà come un umano
ricevendo le tue carni e le tue ossa
- rose di polpa con rose di calce.
Rose che nel primo dei baci
vibrarono come un bicchiere di vetro.
La parola di che concetto pieno
sarà il tuo corpo? Non devo saperlo!
Ruota gli occhi, guardati i seni.
Forse non riuscirai a fiorire!
Questo poema passò a Crepusculario, 1923, con lievi variazioni.
Con le mani vuote
Ogni volta che ti tengo - amore - tra le mani
non so come tu arrivi né so come vai via,
quando cerco te ti trovo tanto lontana
che mi sembra che non ritornerai.
Era inverno di angoscia l'ultima volta. Venisti.
Rinacque il mio corpo di un po' di allegria.
E quando già pensavo che non tutto era triste
tremai di nuovo, con le mani vuote...
Il piacere
Come un solco in riposo sentii il tuo corpo aprirsi
per ricevere l'offerta massima del mio essere
… Sentire... tremar - E, oh carne, affondare, affondare, affondare,
come i soli nell'imbrunire.
E la semina calda che discende e che consegna
il suo tesoro istintivo di sangue e di caldo,
mentre nel vuoto tremano le mani cieche
ed avere toccato tanto grappolo di splendore!
Soli di autunno - venti del nord - getti di trillo!
Chi mi bruciò le mani, chi mi perse la strada?
Uve di che vigneto spremerono in me?
Ed ora tra la nebbia totale dei miei sensi
so che nella mia vita vergine il tuo corpo si è terminato,
E che benché mi vincessi, anche io ti vinsi!
II
IL POMERIGGIO
L'attesa
La mia gioventù - bue lento - rumina il tuo ricordo
come se in un altro piano ti avesse conosciuto.
Io non so il tuo ricordo - io non so la tua fragranza
e ti cerco nell'ombra come un bambino perduto.
Ma saprò trovarti perché la mia vita allunga
le braccia che ti aspettano da non so quando.
Io so che con la morte verrà il pomeriggio amaro
ma so che le mie ossa continueranno a sperare...
Intermezzo: Jacobo Nazaré
INTERMEDIO: JACOBO NAZARÉ. (Pagines 196-197.) Di nuovo i versi sdruccioli, come in «Sensación de clase de química» del quaderno 2 (vedere p. 165 del presente volume), ma con netti progressi di strutturazione e di linguaggio.
Questo ragazzo iperestesico
sofferente di un male metafisico,
lontano dal ritmo genetico
dell'endecasillabo fisico,
questo dal verso raro e caldo
che salta e che saltella di freddo
e che nel viso bruno pallido
somiglia a Rubén Darío,
è Jacobo Nazaré. (Estetica:
nessuna linea teoretica
che includa il verso vuoto.)
Continua a vivere il male di essere vivo,
ancestralmente primitivo,
sotto al suo nome ebreo.
Mani di tisico
Mani che furono buone come un canto sorridente
sentendo la tristezza di un cammino di ieri,
perdute nella profonda stanchezza del sogno,
stanchezza questa che non smette mai di fiorire...
Mani di malato - mani tisicamente buone
austeramente sacre nella sua triste virtù.
(Io ho visto nella bianchezza di questi due gigli
la rotta peccatrice di una vena azzurra.)
Mani che col tempo - tubercolosamente
hanno sentito la fuga delle anime ardenti
lontane compagne dei suoi 18 aprili.
E che adesso nel pomeriggio si contraggono tremanti
perché mentre passano desolanti le ore
si vanno ingiallendo come vecchi avori.
III
LA NOTTE
Iniziazione
INICIACIÓN. (Pagine 197-198.) Con modificazioni nei vv. 2 e 9 riproduce il poema "[Por cada primavera que nace, hermano mio]", senza titolo nel quaderno 2 (vedere pp. 180-182 del presente volume).
Per ogni primavera che nasce, fratello mio,
un'allegria ignota sta morendo in te:
non credere all'albero che trema nelle rugiade,
non credere al frutto d’oro e di rubino.
Bugiardo è l'albero, la luce, l'acqua, il frutto,
il sole - il padre massimo della nostra gioventù.
Si incurvano all'autunno gli alberi nudi,
tremanti di freddo e di inquietudine.
E quando sarai morto, fratello mio,
alberi, acqua, luce, frutti maturi
rallegreranno la primavera azzurra.
Perché ti hanno ingannato - fratello mio,
non sentiranno che tu sei andato via!
Uomo:
HOMBRE. (Pagina 198.) Rielaborazione del poema "[No eas como el árbol primifloro]", senza l'apostrofo-titolo nel quaderno 2, vedere p. 176 del presente volume. Lo stesso facsimile in CEG.
Non essere come l'albero primifloro
che dopo avere dato foglie e morire
comincia a fiorire.
Il tua vita
sia come la terra insanguinata
germinatrice e buona.
Ogni passo
di autunni deve essere come una rotta
che ti illumina di sole le gemme nuove.
Poi ardere, affondare nello spasmo
di fiorire e fiorire.
Più tardi
la primavera
passerà
cantando...
C'è facsimile di una copia manoscritta
da Neruda in Silva Castro ed in CEG.
L'angoscia
LA ANGUSTIA. (Pagina 199.) Con piccole varianti riproduce già il poema di uguale titolo compreso nel quaderno 2 (vedere pp. 174-175 del presente volume). Edito insieme al precedente "Hombre" in Silva Castro 1964 (pp. 235 e 237). Facsimili anche in CEG.
Contadina - le strade si sono riempite di fiori
ed i tuoi piedi si disfano di stanchezza, perché?
Il male di quale origine bagnò la tua primavera
che ieri era di rosa e prima era di miele?
E - oh silenzio, silenzio - è che tu, contadina,
anche tu morrai!?
C'è facsimile di una copia manoscritta
da Neruda in Silva Castro ed in CEG.
Le parole del cieco
LA ANGUSTIA. (Pagina 199.) Con piccole varianti riproduce già il poema di uguale titolo compreso nel quaderno 2 (vedere pp. 174-175 del presente volume). Edito insieme al precedente "Hombre" in Silva Castro 1964 (pp. 235 e 237). Facsimili anche in CEG.
Vecchio cieco, piangevi quando la tua vita era
buona, quando avevi nei tuoi occhi il sole:
ma se già il silenzio arrivò, che cosa è quello che speri?
che cosa è quello che speri, cieco, che cosa speri dal dolore?
Nel tuo angolo somigli a un bambino che nasce
con le porte chiuse della terra ed il mare
E che - come le bestie - tra la notte cieca
senza giorno e senza crepuscolo si stancano di sperare.
Perché se tu conosci la strada che porta
in due o tre minuti verso la vita nuova,
vecchio cieco, che cosa speri? che cosa puoi sperare?
E se per l'amarezza più brutale del destino
- animale vecchio e cieco - non sai la strada,
io che ho due occhi posso mostrartelo!
Questo poema passò a Crepusculario (1923). C’è un fac-simille
di una copia manoscritta da Neruda in Silva Castro ed in CEG.
Quel racconto diceva
AQUEL CUENTO DECÍA. (Pagine 200-201.) Riproduce il poema "Los cuentos viejos" del quaderno 2 (vedere pp. 154-155 del presente volume) ma cambiando la sezione III.
I
Quello racconto diceva...
Ma perché ti cerco, perché ti cerco tanto?
Ho attraversato i deserti, ho bagnato con pianto
la mia defunta allegria,
e perché, amata mio,
perché ti cerco tanto?
Ho attraversato pianure, monti e campi
per cercare il tesoro
delle tue mani di seta
e le tue trecce d’oro...
(Io conobbi le tue trecce e le tue mani un giorno
perché il racconto diceva...)
II
Eravamo tre fratelli.
Uscì il maggiore un giorno per mari e per pianure
per un vecchio tesoro che non avrà,
e mio fratello secondo
uscì a percorrere il mondo
per essere un uomo e per sapere...
Eravamo tre fratelli e nessuno tornò
al podere lontano dove la madre aspetta.
(L'altro matto era
io!)
III
Camminando, camminando, camminando sono passati gli anni,
sono passati i mesi, sono passati i giorni.
I miei due fratelli morti in paesi stranieri,
morti senza la ricchezza né la saggezza.
Ma
io cerco la stessa cosa che nei primi giorni
perché è da tanto tempo che ti aspetto
e quello racconto diceva...
Senza che lo sappia
SIN QUE LO SEPAS. (Pagina 201.) Questo poema ed il seguente ("Fin") insistono sul tema della morte individuale che ossessiona a Neftalí dai suoi testi del 16.° compleanno. In proposito, vedere più sulla mia nota al poema "[Por cada primavera que nace, hermano mío]" del quaderno 2.
Uomo - la tua vita finirà domani,
così, senza che lo sappia, improvvisamente.
Sai come raddoppiano le campane
quando nell'alba nessuno le sente ancora?
Tu toccherai anche una mattina,
tu toccherai disperatamente.
Il tuo minuto angoscioso sarà vano,
tutti gli uomini saranno inerti.
Tra la grotta del dolore umano
nessuno saprà che tu puoi perderti.
Non ci sarà un vuoto in che tu metta le mani
scosse nell'angoscia forte.
Fratello,
senza che lo sappia arriverà la morte.
Fine
SIN QUE LO SEPAS. (Pagina 201.) Questo poema ed il seguente ("Fin") insistono sul tema della morte individuale che ossessiona a Neftalí dai suoi testi del 16.° compleanno. In proposito, vedere più sulla mia nota al poema "[Por cada primavera que nace, hermano mío]" del quaderno 2.
La tua lunga chioma stracciata,
le tue pupille brune peste
per l'odio del sole starai morendo
e così la mia primavera desolata
riceverà ogni spoglio in ogni
vuoto del corpo vergine che ti tendo.
E così saprai che i miei dolori muti
più grandi e più tristi e più profondi
resisteranno nel supremo orgoglio
di sapere che sapendomi nudo
ed offrendoti tutto quello che nascondo
si fonderanno le mie ossa con le tue.
Mani di cieco
MANOS DE CIEGO. (Pagine 202-203.) Riproduce la seconda, definitiva, delle versioni comprese nel quaderno 2.
Dammi le tue mani, cieco. Le mani dei ciechi
sono come le radici di questi uomini inerti:
si scottano ritostate per il sole in gennaio
e nell'autunno sentono come arriva la morte.
Tagliate e sottomesse nel silenzio vivono
spolpando nelle loro dita il filo del dolore
e lo filano raccolte come monaci umili
che stessero filando le parole di Dio.
I ciechi hanno tutta la loro anima in queste mani
aspre di sfiorarsi con le membra umane,
oltrepassate di dolore, tremanti di amore.
Tremano come cordami le lunghe dita magre
e sembrano due sacre colombe di miracolo
tagliate e sanguinanti di notte e di dolore!
Elegia di un povero grillo che ammazzarono i miei piedi
ELEGÍA DE UN POBRO GRILLITO CHE MATARON MIS PIES. (Pagina 203.) "Nella mia infanzia a Temuco scrissi una piccola elegia "Ad un scarabeo che inavvertitamente schiacciai coi piedi." Da lì passa a un grosso libro che è in potere di mia sorella Laura e che contiene i miei esecrabili primi versi. Di quando in quando qualcuno li scopre e pubblica dandomi pugnalate retrospettive. Ora l'ho notato scrivendo in Punta del Este un altro piccolo poema, niente di elegiaco bensì piuttosto elettrico, ad un altro scarabeo che trovai lì tra le radici delle pinete". Pablo Neruda, "Escarabagia disperso", Ercilla, num. 1474, Santiago, 24.4.1968. L'altro piccolo poema è "Un escarabajo" di Los manos del día, 1968 (cfr. queste OCGC, vol. III, pp. 372-373).
Ed sotto il piede assassino curvò il soave
petto di chitina miracolosa.
Arrivò il dolore. Arrivò il dolore. Chi sa
come fu quella crisi dolorosa.
Si scosse la terra come un seno
che respingesse un ragno tremendo
e si inzuppò il mio cuore di buono
di quel dolore che non stavo sentendo.
Tutto continuò lo stesso, il foraggio, il fiume,
l'odore acre delle seminagioni,
ma sentii la fuga di qualcosa di mio
come quando va via la primavera...
Non dirà oramai la sua canzone primitiva
- sonaglio pieno, rosa di allegria -
e tra le labbra della mia bocca viva
il grido crudo diventò elegia...
C'è facsimile di una copia manoscritta
da Neruda in Silva Castro ed in CEG.
Divinazione
Io continuo qui a cantare le mie canzoni
che sono come resine dolci
spremute in mezzo alla notte.
Io continuo qui a stringere i miei roseti
un mio amore grande in ogni rosa,
un mio bacio in ogni germoglio soave...
Io continuo a cantare in mezzo alla notte
una canzone che non ha cantato nessuno...
IV
CANZONI DELLA VITA MEDIOCRE
Collegiale
COLEGIALA. (Pagina 204.) Con varianti nei vv. 7 e 11, riproduce il poema di uguale titolo compreso nel quaderno 2 (p. 173-174 del presente volume). Vedere sopra la mia nota a quella prima versione che spiega il cambiamento di "vamos" per "fuimos" nell'ultimo verso.
Il collegiale aveva
gli occhi tanto carini.
Io la incontrai nel pomeriggio
di un giorno
domenica.
Il collegiale aveva
gli occhi oscuri.
Io mi sentii buono come
un alberello nudo.
Da quello pomeriggio noi
andammo alla scuola insieme...
Appunto di primavera
La pioggia cade...
Pagliacci
sulle strade bagnate.
Occhi che niente guardarono.
Bocca che non disse niente.
P Oh primavera di grumi
R dolci, di carni rosate,
I cieli di un azzurro oscuro
M ed acque di colore di acqua.
A
Ora
carminio su bocche morte
scherzo...
festa.
Per chi arrivasti, per
chi arrivasti primavera?
Luna
LUNA. (Pagine 205-206.) L'associazione che Neftalí stabilisce qui tra la luna, da una parte, e dall’altra la convergenza tra la propria nascita e la morte di sua madre (notare che il testo inverte la sequenza cronologica), tutto ciò configura un momento importante nella formazione dell'immaginario poetico di Neruda. Così si spiega, tra le altre cose, il simbolismo negativo della luna in "El Sur de l'océano" ed in altri testi di Residencia, cfr. Loyola 1987, appendice II, voce "luna". Il testo si pubblicò per la prima volta sul mio Ser y murir en Pablo Neruda, 1967.
Quando nacqui mia madre moriva
con una santità di anima in pena.
Era il suo corpo trasparente. Ella aveva
sotto la carne una luminosità di stelle.
Ella morì. E nacqui.
Per questo porto
un invisibile fiume tra le vene,
un invincibile canto di crepuscolo
che mi infiamma la risata e me la gela.
Ella unì alla vita che nasceva
la sua sterile ramaglia di vita malata.
L'avorio delle sue mani moribonde
tornò gialla in me la luna piena...
Per questo - fratello - è tanto triste il campo
dietro le vetrate trasparenti...
... Questa luna gialla della mia vita
mi fa essere un germoglio della morte...
La canzone dell'amore perduto
I
L'amore che non le dissi
mi sta rattristando ora.
Non uscì dalle mie labbra e passò accanto a lei
come una soave ombra!
Non lo seppe guardare,
non lo seppe sentire,
e la mia bocca neanche
poté dirlo...
Si perse come un canto che muore nelle labbra,
morì come una nave che si perde nel mare.
Passò come un'ombra... Non lo seppe sentire...
non lo seppe sentire... non lo seppe guardare...!
II
Silenzioso amore. Campana
senza metallo.
Silenzio. Sono triste ora.
Tardi. Ricordo. Silenzio.
Solitudine.
Amore... Se l'avessi detto
in quell'imbrunire...
Per che motivo lo tacerei...?
Perché?!...
I servitori
Con il neonato nelle braccia continuano a passare la vita
che è tanto lunga, tanto lunga! ed è tanto dura, tanto dura!
Per dopo che esista la Terra Promessa
e che ora ci sia latte per la creatura!
Per la creatura dagli occhi casti,
dalle mani tremanti, dalla carne innocente,
per il bambino senza padre che nacque come il foraggio
della strada che pesta quasi tutta la gente...
E pensare che domani la notte scossa
raccoglierà il neonato quasi appena nato
e poco a poco lo porterà alla madre...
E quando strada della tomba li portino,
davanti al corteo lento di uomini che non si muovono
non ci sarà un bambino che pianga, non ci sarà un cane che abbai.
Giorno mercoledì
DÍA MIÉRCOLES. (Pagine 207-209.) La prima delle tre sezioni di questo poema aveva chiuso il quaderno 2 (p. 186 del presente volume).
I
Casetta povera.
Le galline che camminano per il patio solo.
La madre che cuce.
La madre che cuce,
che rammenda che rattoppa i vestiti stanchi
di giorno e di notte.
Ci sono negli angoli
della casa molti
fiori.
E dappertutto
la tristezza bianca
delle case povere.
II
La voce mi si è soffocata
sommersa nel petto...
Un roveto che rompa le mie arterie rosse,
i miei muscoli nuovi!
Ho ferita l'anima di camminare nella notte,
le ore amare
mi vanno mozzando la vita interiore.
(Questo giorno mercoledì
è una montagna
su un cuore...)
III
La vita sottomessa...
La vita stanca...
Nel patio solo guardo le galline
che tra le spazzature frugano e frugano…
Ahi! tristezza lenta
delle case povere,
tristezza di patii,
tristezza di fiori...
E per i giardini e per gli angoli
la vita sottomessa,
la vita mediocre...
V
INNO AL SOLE
Inno al sole
HIMNO AL SOL. (Pagine 209-210.) Il volontarismo solare di Neftalí - generosità, ottimismo, migliorare il mondo attraverso la poesia e l'azione individuale - è la chiave di questa fase fino a metà del 1922. Helios governerà la scrittura di testi come "Oración" e "Sinfonía de la trilla" prima che i crepuscoli invadano il mondo e facciano di Neftalí un "castello maledetto" dominato dalla paura. L'adolescente di Temuco non poteva immaginare allora che la sua vera chiave poetica non era solare, né crepuscolare, bensì decisamente notturna. Né poteva immaginare allora (all'inizio di 1921) che doveva ritornare al Sud dell'infanzia per trovare la risposta che cercava a Santiago. Per assimilarlo nella sua vita e nella sua poesia. Solo allora Neftalí potrà scrivere il verso decisivo che farà di lui Pablo Neruda: Puedo escribir los versos más tristes esta noche. Nel principio sarà la NOTTE - la Notte del Sud, la Notte dei Sonni e dell'Amore -, non il Sole né il Crepuscolo.
Ordito di oro torbido e di oro albeggiato.
Podere astrale!
Cascata di rame e di bronzo fusi,
latte di luce, suono.
Podere astrale!
Altare multifulgente per la mia anima inclinata
davanti al giorno dorato che si penetra in lei.
Carro di luce dove vanno le mie mani stanche
di vendemmiare spine e di seminare stelle.
Quando arriva la notte mi troverò di ginocchio
sperando che arrivi da dove ti perdesti.
Lascerai nella mia vita le tue fiamme gialle,
incarnerai i tuoi ovuli nella mia esca triste?
Padre dei vulcani e dei campi di grano,
fa che il tuo parlare fecondi la mia semplice gola,
dimmi che ritmo seguono il metallo e la seta,
la cordigliera puberale e l'uccello che canta!
E che la mia bocca ardente raccolga il tuo canto,
che lo ripeta il vento che l'addolcisca la fonte:
fa che ogni verme mantenga il suo bocciolo
e che il bocciolo stesso canti semplicemente.
Canti la gran verità della tua vita e della mia,
la fiaccolata giovane della tua luce e del mio verso,
e la felicità sotto la notte fredda
dia una grande alba su un grande universo...
Saprò perché le uve maturano all'autunno,
perché l'oro del grano ha la tua pienezza,
perché l'albero nudo trema nei suoi germogli
come il corpo nuovo trema nella sua gioventù.
Padre Sole, mi dirai con la tua parola rude
quello che faremo domani e quello che facemmo prima,
e perché continua a falciare la materia nuda
nostra Signora dalla falce sanguinante...
Nel frattempo io continuo a camminare addormentato...
Rompendomi le tempie i roseti fioriti
continua a fermentare nella mia anima il tuo ovulo spettrale,
ordito di oro torbido e di oro albeggiato,
cascata di rame e di bronzo fusi!
Podere astrale!
Le lampade
LAS LÁMPARAS. (Pagine 210-211.) Con questo testo nasce un simbolo, connesso al sapere e alla razionalità attiva, molto persistente nella scrittura di Neruda, per esempio in "América, no apagues tus lámparas", articolo del 1943, e nel capitolo "La lámpara en la tierra" che darà inizio al Canto generale.
Su questa nostra vita triste e rotta
le bisce verdognole dei sonni
vengono a volte a muovere le loro code.
Il vento
a volte arriva
e nell’oscurità gli occhi rimangono ciechi
e tremano di terrore le carni tremule.
E sopra la nostra vita un lungo grido
È solito salire a Dio, tremante e rude,
un grido freddo
che va dall’oscurità verso il buio.
Per questo, fratello mio,
ti dettero una lampada
per ogni minuto.
Nel sonno una lampada con ali
affinché ti illumini e ti conduca.
Una lampada forte
di rame e ferro per le angosce.
E fino a là quando il sonno si prolunga
ed oltrepassa il dolore la carne debole,
ed un vento allucinato viene e tocca
la fronte ed ogni angoscia e dolore vengono,
ci sarà una lampada meravigliosa
che ti illumina la strada verso la morte.
Tutti abbiamo lampade, veniamo
ad illuminarci la rotta con le sue fiamme.
Che le tue illuminino te stesso.
Tutti abbiamo lampade.