PABLO NERUDA - INSETTI


Vai ai contenuti

Menu principale:


Ode alle acque del porto - L'imbarcazione

Neruda - le poesie

Oda a las aguas de puerto

Nada del mar flota en los puertos
sino cajones rotos,
desvalidos sombreros
y fruta fallecida.
Desde arriba
las grandes aves negras
inmóviles, aguardan.
El mar se ha resignado
a la inmundicia,
las huellas digitales del aceite
se quedaron impresas en el agua
como
si alguien hubiera andado
sobre las olas
con pies oleaginosos,
la espuma
se olvidó de su origen:
ya no es sopa de diosa
ni jabón de Afrodita,
es la orilla enlutada
de una cocinería
con flotantes, oscuros,
derrotados repollos.

Las altas aves negras
de sutiles
alas como puñales
esperan
en la altura,
pausadas, ya sin vuelo,
clavadas
a una nube,
independientes
y secretas
como
litúrgicas tijeras,
y el mar que se olvidó de su marina,
el espacio del agua
que desertó
y se hizo
puerto,
sigue solemnemente examinado
por un comité frío
de alas negras
que vuela sin volar,
clavado al cielo
blindado, indiferente,
mientras el agua sucia balancea
la herencia vil caída de las naves.

El barco

Pero si ya pagamos nuestros pasajes en este mundo
por qué, por qué no nos dejan sentarnos y comer?
Queremos mirar las nubes,
queremos tomar el sol y oler la sal,
francamente no se trata de molestar a nadie,
es tan sencillo: somos pasajeros.

Todos vamos pasando y el tiempo con nosotros:
pasa el mar, se despide la rosa,
pasa la tierra por la sombra y por la luz,
y ustedes y nosotros pasamos, pasajeros.

Entonces, qué les pasa?
Por qué andan tan furiosos?
A quién andan buscando con revólver?

Nosotros no sabíamos
que todo lo tenían ocupado,
las copas, los asientos,
las camas, los espejos,
el mar, el vino, el cielo.

Ahora resulta
que no tenemos mesa.
No puede ser, pensamos.
No pueden convencernos.
Estaba oscuro cuando llegamos al barco.
Estábamos desnudos.
Todos llegábamos del mismo sitio.
Todos veníamos de mujer y de hombre.
Todos tuvimos hambre y pronto dientes.
A todos nos crecieron las manos y los ojos
para trabajar y desear lo que existe.

Y ahora nos salen con que no podemos,
que no hay sitio en el barco,
no quieren saludarnos,
no quieren jugar con nosotros.

Por qué tantas ventajas para ustedes?
Quién les dio la cuchara cuando no habían nacido?

Aquí no están contentos,
así no andan las cosas.

No me gusta en el viaje
hallar, en los rincones, la tristeza,
los ojos sin amor o la boca con hambre.

No hay ropa para este creciente otoño
y menos, menos, menos para el próximo invierno.
Y sin zapatos cómo vamos a dar la vuelta
al mundo, a tanta piedra en los caminos?
Sin mesa dónde vamos a comer,
dónde nos sentaremos si no tenemos silla?
Si es una broma triste, decídanse, señores,
a terminarla pronto,
a hablar en serio ahora.

Después el mar es duro.

Y llueve sangre.


ODE ALLE ACQUE DEL PORTO

Niente del mare galleggia nei porti
bensì casse rotte,
derelitti cappelli
e frutta marcia.
Dall’alto
i grandi uccelli neri
immobili, aspettano.
Il mare si è rassegnato
all’immondizia,
le impronte digitali dell’olio
rimasero impresse nell’acqua
come
se qualcuno avesse camminato
sopra le onde
con piedi oleaginosi,
la schiuma
si dimenticò della sua origine:
e non è zuppa di dea
né sapone di Afrodite,
è la riva in lutto
di una cucina
con galleggianti, oscuri,
sconfitti cavolfiori.

Gli alti uccelli neri
dalle sottili
ali come pugnali
aspettano
nell’altezza,
lenti, e senza volo,
fissati
a una nube,
indipendenti
e segreti
come
liturgiche forbici,
e il mare che si dimenticò della sua marina,
lo spazio dell’acqua
che disertò
e si fece
porto,
continua solennemente esaminato
da un comitato freddo
di ali nere
che vola senza volare,
fissato al cielo
blindato, indifferente,
mentre l’acqua sporca oscilla
l’eredità vile caduta dalle navi.

L’IMBARCAZIONE

Ma se paghiamo i nostri passaggi in questo mondo
perché, perché non ci fanno sedere e mangiare?
Vogliamo guardare le nubi,
vogliamo prendere il sole e odorare il sale,
francamente non si tratta di molestare nessuno,
è tanto semplice: siamo passeggeri.

Tutti stiamo passando e il tempo con noi:
passa il mare, si congeda la rosa,
passa la terra per l’ombra e per la luce,
e voi e noi passiamo, passeggeri.

Allora, che succede?
Perché sono tanto furiosi?
Chi stanno cercando con il revolver?

Noi non sappiamo
che tutto lo tiene occupato,
i bicchieri, i posti a sedere,
i letti, gli specchi,
il mare, il vino, il cielo.

Adesso risulta
che non abbiamo tavolo.
Non può essere, pensiamo.
Non possono convincerci.
Era scuro quando arrivammo all’imbarcazione.
Eravamo nudi.
Tutti arrivavamo dal medesimo posto.
Tutti veniamo da donne e da uomini.
Tutti avevamo fame e pronti denti.
A tutti noi crebbero le mani e gli occhi
per lavorare e desiderare quello che esiste.

E adesso ci escono che non possiamo,
che non c’è posto sull’imbarcazione,
non vogliono salutarci,
non vogliono prendersi gioco con noi.

Perché tanti vantaggi per loro?
Chi gli dette il cucchiaio quando non erano nati?

Qui non sono contenti,
così non vanno le cose.

Non mi piace nel viaggio
trovare, negli angoli, la tristezza,
gli occhi senza amore o la bocca affamata.

Non ho vestiti per questo crescente autunno
e meno, meno, meno per il prossimo inverno.
E senza scarpe come andiamo a fare il giro
del mondo, a tanta pietra nelle strade?
Senza tavolo dove andiamo a mangiare,
dove ci faranno sedere se non abbiamo sedia?
Se è uno scherzo triste, si decidano, signori,
a terminarlo presto,
a parlare sul serio adesso.

Poi il mare è duro.

E piove sangue.



Sito internet di Antonio Giannotti - (12) aggiornamento 14/04/2007 | postmaster@antoniogiannotti.it

Torna ai contenuti | Torna al menu