TERZA PARTE
1 Paxil significa «separazione», «distesa delle acque», «inondazione». Cayalá, derivato da cay, «putrido», si può interpretare come «putridume dell'acqua ». Questi luoghi leggendari che offrirono all'umanità americana i frutti naturali, base della sua sussistenza e del suo sviluppo economico, si trovavano, secondo il Brasseur, nella regione di Tabasco, dove il fiume Usumacinta, dopo aver bagnato il territorio del Nord del Guatemala, si divide in vari bracci ed inonda la regione all'epoca della sua massima piena. Questo fenomeno è simile, nelle sue cause e nei suoi effetti, alle inondazioni del Nilo, le quali spargono il limo fecondante che produce i ricchi raccolti dell'Egitto. Il Bancroft pensava che Paxil e Cayalá fossero nella regione di Palenque e dell'Usumacinta. Entrambe le opinioni avrebbero qualche fondamento, se fosse possibile localizzare questi luoghi mitologici, poiché senza dubbio fu quella la regione che per qualche tempo abitarono le tribù guatemalteche nella loro peregrinazione verso le terre del Sud.
2 Echá, «cibo», «nutrimento». Quando si tratta dell'uomo, echá è il mais cotto e macinato, nutrimento comune dell'Indiano d'America, che i Quiché logicamente pensavano fosse servito a formare i primi uomini.
3 «Che era il paradiso», aggiunge Ximénez, di suo, nella prima versione. Il Manuscrito Cakchiquel racconta che, quando il Creatore ed il Formatore fecero l'uomo, non avevano nulla con cui nutrirlo, finché non trovarono il mais a Paxil, contendendolo a due animali, il coyote ed il corvo, che sapevano dove maturasse. Il coyote venne ucciso in mezzo al campo di mais. Con la pasta del mais, mescolata col sangue del serpente, venne fatta la carne dell'uomo. La leggenda messicana narra in modo analogo la scoperta del mais. Secondo il Códice Chimalpopoca, la formica Azcatl rivelò a Quetzalcoatl l'esistenza del mais a Tonacatepetl («montagna del nostro nutrimento»). Quetzalcoatl si trasformò subito in formica nera e, accompagnato da Azcatl, s'introdusse in quel luogo e portò il mais a Tamoanchán.
4 Cacau in maya ed in quiché, la nota pianta dell'America tropicale. Una varietà di cacao, Theobroma bicolor, chiamata pec in quiché, è nota tra il popolo col nome messicano di pataxte.
5 Tulul, nel Yucatàn zapote, mamey, Lucuma mammosa. L'anona è ben nota con questo nome e con quello di chirimoya; il nome quiché è cavex. II jocote, nome derivato dal náhuatl xocotl, Spondias purpurea, L., è il quinom dei Quiché e dei Cakchiquel. Il nance, dal nàhuatl nantze, Byrsonima crassifolia, è il tapal delle lingue del Guatemala. Il matasano, abaché in queste lingue, Casimiroa edulis, Llave & Lex., completa l'elenco di questi frutti che abbondano nelle terre calde ed in quelle temperate del Guatemala.
6 Echá, per eccellenza.
7 Ximénez spiega così il significato di questi nomi: Balam-Quitzé vuoi dire «tigre dal riso dolce», o «dal riso abbondante», o «dal riso mortifero, come il veleno». Balam-Acab, «tigre della notte». Mahucutah, «non spazzolato». Iqui-Balam, «tigre di luna o di chile», «tigre nera», in maya. L'idolo di un popolo del Yucatàn era adorato sotto il nome di «Ekbalam o Equebalam, tigre nera», Relaciones de Yucatán, vol. II, p. 53. È molto difficile, per non dire impossibile, accertare la vera origine di questi nomi. Si è generalmente accettata la spiegazione di Ximénez, benché non sia del tutto soddisfacente. Bisogna notare inoltre che balam ha anche l'accezione di «stregone» e che è probabile che gli antichi Quiché, i quali credevano a sortilegi ed incantesimi, vedessero nei loro primi padri altrettanti stregoni e maghi.
8 Cioè, gli antenati, i progenitori. Nel capitolo seguente l'autore li chiama di nuovo «madri», nello stesso senso generico.
9 Xa utuquel achih. «Non avevano nome di famiglia». Non avevano ascendenti. Erano il principio della stirpe umana. Ossia, non hanno patronimico, o nome gentilizio.
10 Rumal ri Ahtzac, Ahbit, ri Alom, Qaholom.
11 Rumai ri Tzacol, Bitol, Alom, Qaholom.
12 Chi camul camo, oxmul camo. Come in spagnolo moderno una y mil veces («più e più volte»).
13 Que quiritahic, «si moltipllcano»; qui iaric, così nell'originale; letteralmente, «si fanno molti», «si propagano»; sono sinonimi, derivati dall'avverbio di quantità qui, «molti». Come in latino multos, multiplicare.
14 U xe u ticaribal.
15 Xavi Cabahuil x-naohin chic. Naohin significa «far qualcosa accuratamente».
16 Ximénez (1929, I, p. 35) interpreta così questi nomi: Cahá-Paluna, «acqua ritta (verticale) che cade dall'alto»; Chomihá, «acqua bella e scelta», Tzununihá, «acqua di passeri (che è il nome volgare del colibrì nel Guatemala); Caquixahá, «acqua di ara». Il Título de los Señores de Totonicapán registra i nomi delle mogli di quegli eroi quiché con qualche variante: «La moglie di Balam-Quitzé si chiamò Zaka-Paluma, quella di Balam-Agab Tzununi-há; quella di Mahucutah Cakixa-há; Iqui-Balam era celibe».
17 Ri qui chuch oh quiche vinac, letteralmente «le madri di noi Quiché». Chuch, «madri», ha qui un senso generico, come in spagnolo la parola padres, ed entrambe indicano insieme i due progenitori.
18 È possibile riconoscere tra questi nomi quello di Tepeu, che in altri passi del libro è usato per i Yaqui, Yaqui-Tepeu, una delle tribù di origine tolteca emigrate insieme coi Quiché. Si può identificare anche la gente di Olomán, che sono gli Olmechi, Olmeca-Xicalanca, che vivevano al Sud di Veracruz e coi quali i Quiché erano pure intimamente uniti.
19 Capi della tribù di Tamub erano Copichoch, Cochochlam, Mahqui-nalon e Ahcanabil, i cui nomi si leggono nel Título de los Senores de Totonicapán e nella Historia Quiché de D. Juan de Torres, manoscritto inedito che descrive anche la loro successione. Il Brasseur de Bourbourg (1861, p. CCLXI) rende noti i nomi dei capi della tribù di Ilocab, tratti da un altro manoscritto di cui egli fu in possesso, il Título de los Senores de Sacapulas. Tali nomi, che figurano anche nel Título di Totonicapán, sono i seguenti: Chi-Ya-Toh, ChiYa-Tziquin, Xol-Chi-Tum, Xol-Chi-Ramag e Chi-Pel-Camuhel.
20 I tredici popoli di Tecpán, che il Título di Totonicapán chiama Vukamag Tecpam, sono, secondo il Brasseur, le tribù Pocomam e Poconchí. La tribù di Rabinal si stabilì nella parte centrale dell'odierna repubblica del Guatemala, ed i suoi discendenti costituiscono ancor oggi un importante nucleo di popolazione quiché. I Cakchiquel fondarono un regno forte e numeroso, rivale del regno Quiché, ed ebbero per capitale Iximché (nome indigeno dell'albero attualmente chiamato in spagnolo ramón). Iximché era dai Messicani chiamata Tecpán-Quauhtemállan, donde deriva il nome moderno Guatemala. La tribù di Tziquinahá ebbe per capitale la città lacuale di Atitlán, ed occupò la parte occidentale del territorio che circonda il lago omonimo. Zacabá è l'odierna Salcajá, presso Quezaltenango. Lamac, Cumatz, Tuhalhá ed Uhabahá esistevano nei dintorni di Sacapulas, secondo il Brasseur. Non è stato possibile identificare le rimanenti tribù. Quella di Balamihá può essere la tribù stabilitasi nella località oggi chiamata Balamyá, nel distretto di Chimaltenango.
21 Nell'originale questo periodo si legge così: Ta x-qohe pa qui chiri queca vinac, zaqui vinac, qui vachibal vinac, qui u chabal vinac, cay u xiquin. Il Brasseur mutò il senso di qui, «molti», in quello di quiy, «dolce», e disse nella sua traduzione che era «dolce l'aspetto di quelle genti, dolce il linguaggio di quei popoli ». Qui vachibal vinac, letteralmente significa «uomini di moltiplìci forme, aspetti od apparenze ». Qui u chabal vinac, « molte erano le lingue degli uomini». Evidentemente l'autore volle dare un'idea della moltitudine di genti diverse ed estranee tra di loro, nere o bianche, cioè di pelle chiara e di pelle scura, e della varietà delle lingue esistenti nell'Oriente. I Quiché tuttavia, in mezzo a quella Babilonia, mantenevano la loro unità etnica e la loro lingua comune, come si leggerà più avanti. Ximénez traduce la fine del periodo: «vi furono molte lingue e di due orecchie», espressione priva di senso. Nella sua seconda versione (1929, I, p. 36), tenta di spiegare la frase dicendo che «odono una cosa e ne comprendono un'altra a causa della differenza di linguaggio». Cay, cab o caib è il numerale «due», ma la prima forma, quella usata nel testo, significa anche «vedere od udire con meraviglia», ed è questo probabilmente il concetto che si cerca di esprimere.
22 Cioè, gli idoli.
23 «Ed aspettavano soltanto che nascesse il sole», interpreta Ximénez.
24 Creatore e Formatore.
25 Utzilah qazlem, vinaquirem ta puch coh a ya vi.
26 Il pantheon quiché in questo passo appare completo, con l'aggiunta di due nomi nuovi, Voc e Nanauac il grande ed il piccolo. Il primo, Voc o vac, «sparviero», era il messaggero di Huracán che andava ad assistere al gioco della palla di Hun-Hunahpú e Vucub-Hunahpú, come si racconta in un precedente capitolo del libro quiché. Nanauac, l'Onnisciente, secondo il Brasseur è lo stesso personaggio che, col nome di Nanáhuatl («il coperto di bubboni») appare nel Codice Chimalpopoca.
27 Cioè, idoli.
28 Yaqui-Vinac, ahqixb, abcabb, i Messicani, gli antichi Toltechi, il popolo Náhuatl, i quali, unitisi ai Maya del Sud, diedero origine alle nazioni.indigene del Guatemala. L'autore chiama i Yaqui «i sacerdoti e sacrificatori» ed in vari passi da questi stessi nomi ai capi quiché Balam-Quitzé e suoi compagni. Nel descrivere la morte di questi capi il testo li indica a questo modo: «i capi e sacrificatori, così chiamati». Cfr. la fine del Capitolo quinto della Parte quarta.
29 Chi ca ric ri coh tzihón ta chuvach, evidentemente cercavano l'incenso da bruciare dinanzi agli dèi.
30 Questo passo del Popol Vuh è assai interessante come prova della comunanza d'origine dei Quiché e gli altri popoli del Guatemala con le tribù stabilitesi in tempi antichi in vari punti del Messico e del Yucatán. Tulán-Zuiva, «la Caverna di Tulán», Vucub-Pec, «Sette Caverne», e Vucub-Ziván, «Sette Burroni», sono i nomi quiché della località cui la tradizione messicana da il nome di Chicomoztoc, che in lingua náhuatl significa parimenti «Sette Caverne». Nel mscr. del Sahagún della Academia de la Historia si leggono queste parole: «I nostri antenati avevano cognizione che da Chicomoztoc erano venute, come essi stessi dicevano, le sette tribù provenienti da quelle regioni, colà nate» (cfr. SELER, Los cantares de los dioses, in Sahagún, 1938, vol. V, p. 84). Nella tradizione maya il nome della culla della razza è simile a quello che le davano i Quiché, Holtún Çuuyva, la Caverna Zuiva, come si legge nei Libri di Chilam Balam. Pur non essendo stato possibile determinare con esattezza il luogo dove esistette l'antica Tulán delle Caverne o dei Burroni, la comune tradizione conservatasi nel Messico e nel Guatemala attribuisce ai popoli di tutto questo vasto territorio un'origine che, se pur meramente leggendaria, segna l'inizio della loro evoluzione storica. Le cronache indigene del Guatemala sono in questo senso notevoli, per la chiarezza con cui segnalano gli spostamenti delle tribù del Guatemala dal loro punto di riunione sino ai luoghi dove infine si stabilirono e dove raggiunsero lo stato di civiltà in cui vennero trovate dagli Spagnoli nel secolo XVI.
31 U coc, in questo caso è la cassa o la gabbia di legno che gli Indiani portano sulle spalle per trasportare i loro prodotti o i loro fardelli da un luogo all'altro. Il nome corrente nel Guatemala è cacaxte, preso, come tanti altri, dalla lingua messicana.
32 II nome Tohil o Tojil deriva da toh, «pioggia», secondo Ximénez. Gli abitanti di Rabinal lo chiamavano Huntoh, 1 Toh, che è un giorno del calendario. Più avanti l'autore scrive che Tohil e Quetzalcoatl erano uno stesso Ente. Il Memorial de Solalá chiama Tohohil il principale dio dei Quiché. Di Avilix e di Hacavitz non esiste un'etimologia soddisfacente. Nicabtacah, letteralmente «in mezzo alla pianura», non appare più nel racconto, probabilmente perché Iqui-Balam ebbe una parte assai secondaria e non lasciò discendenti. Nello spiegare l'origine del nome Tohohil, il Memorial dice che, quando le tribù si trovavano nelle maremme, prima di addentrarsi nelle montagne del Guatemala, i Quiché dissero: «Xaqui tohoh quihilil xibe chi cah, ossia "così come tuonò e risuonò nel cielo"», ed aggiunge « in verità nel cielo è la nostra salvezza. Cosi dissero e vennero pertanto chiamati i Tohohil ». Il nome di Tohil è effettivamente connesso con l'idea della pioggia e del tuono, come si è indicato al principio di questa nota.
33 Xahun u bi u cabauil, nell'originale.
34 Nel Yucatán.
35 X-u bac uloc chupam u xahab. Diamo la versione di Ximénez. Non v'è dubbio che l'espressione alluda alla maniera primitiva di produrre fuoco per mezzo, di un bastone fatto girare rapidamente entro un altro. Secondo il Título de los Señores de Totonicapán, Balam-Quitzé ed i suoi compagni «incominciarono a soffregare legna e pietre, quelli che per primi produssero fuoco». I popoli di Vukamag ottennero solo che i Quiché dessero loro «un poco» del loro fuoco in cambio dell'offerta delle loro figlie.
36 Ma cu habi x-e culaxic.
37 M'yv ahauab chi qui ya ch'yve. Il verbo abauax, secondo Ximénez, significa «convenire», «occorrere», «esser necessario».
38 Qo uxic queheri uxic zotz. Seguiamo Ximénez nell'interpretazione di questa frase, che egli legge Qo u xic queheri u xic zotz. Il Brasseur la traduce dicendo che la natura del messaggero era simile a quella di un pipistrello. Il testo, tuttavia, dice chiaramente che fu un uomo a presentarsi dinanzi a Balam-Quitzé ed ai suoi compagni; un uomo che aveva ali simili a quelle del vampiro.
39 È curiosa l'apparizione di questo «uomo di Xibalbá», demonium loquens eis, o demonio che parlava loro, come commenta Ximénez nel manoscritto originale. Evidentemente, ed in senso generale, Xibalbá era per i Quiché il mondo delle ombre e dei fantasmi. Nel presente episodio il messaggero che viene a consigliare i sacerdoti si presenta come un inviato del Creatore e del Formatore, ma vi è motivo di sospettare della sua identità.
40 Mavi x-mainic ta x-e ul chicut ri amag que utzin rumal teu. Così nell'originale.
41 E elegom, nell'originale. Elegom, è un sostantivo derivato dal verbo «rubare», ma vi può essere un errore nella trascrizione del testo primitivo. Il Brasseur interpreta la parola traducendo à la dérobée; altri traduttori scrivono «in segreto», «desolate». Ximénez traduce senz'altro «i ladri». Dal verbo quiché elahic, «pregare, supplicare, umiliarsi», si forma il sostantivo elahom, il quale esprime il concetto che qui accettiamo e che pare più conforme al senso del nostro passo.
42 Ma chi c'ah qui tunic xe qui toloc, xe pu qui mezquel? Cioè, consegnare le vittime perché vengano sacrificate, al modo messicano, aprendo loro il petto col coltello di selce ed offrendone i cuori alla divinità. Lo stesso concetto si ripete più avanti in termini che escludono ogni ambiguità.
43 Xa x-relecab ubic gag pa zib, nell'originale.
44 Zotzilá-ba, «la casa dei zotzil o pipistrelli». Cosi si chiamava la dinastia dei Cakchiquel ed il re sfoggiava il titolo di Abpopzotzil, «il re, o Signore, pipistrello».
45 Gli odierni Cakchiquel chiamano chamalcán un serpente di grandi dimensioni; letteralmente significa «serpente bello». Lo stesso significato ha la parola maya kanalcán, che indica un serpente del Nord.
46 Maha chi tihou oc u banic ta x-nicvachixic rumal Tohil u camic puch gagal tepeual cumal ri Balam-Quitzé, ecc. Nell'interpretare questa frase i traduttori del Popol Vuh hanno dato alla parola camic l'accezione corrente di «morte», suggerita loro senza dubbio dal concetto dei sacrifici umani di cui si parla nel periodo precedente. Il Brasseur traduce tutto questo passo così: on n'avait pas ten0ée cette pratique, quand fut énigmatiquement proposée par Tohil leur mort dans l'épouvante et la majesté. Tuttavia la frase in quiché è semplicissima e riesce chiara quando si legga camic come nome di azione derivato da cam, «prendere, ricevere». Tale interpretazione viene confermata dalla frase iniziale del terzo periodo successivo. Il verbo nicvachin significa «vedere a distanza». Il profeta, indovino, stregone o veggente in quiché si chiama nicvachinel. Le parole gagal, tepeual significano «la sovranità», «la maestà divina o reale», afferma il Vocabulario de las lenguas Qiché y Kakchiquel. Tepeual è parola di origine náhuatl.
47 Icoquih, Venere, la precorritrice del sole, letteralmente «quella che porta sulle spalle il sole». «La stella dell'aurora», dice il Vocabulario de los Padres Franciscanos, ed il mscr. Yzquín citato da Fuentes y Guzman la chiama Nimá Chumil, «la grande stella», che equivale al maya Noh Ek.
48 X-oc cut chupam qui bix. Il verbo oc in questo passo ha il significato di «piangere».
49 Il P. Las Casas (1909, cap. CLXXIV) narra che gli Indiani, dopo il sole, considerato il Signore supremo, onoravano ed adoravano la stella del mattino «più di ogni altra creatura celeste o terrena, poiché ritennero cosa certa che il loro dio Quetzalcoatl, alla sua morte, si era convertito in quella stella». Ed aggiunge che ogni giorno aspettavano che essa sorgesse per riverirla, offrirle incenso e spargere il proprio sangue per onorarla.
50 «Il mandato o consiglio». Probabilmente è la stessa località che il Título de los Senores de Totonicapán chiama Chi-Quiché. Secondo tale documento le tribù partirono da Tulán Pa Civán («tra burroni»), attraversarono il mare, giunsero sulle sponde di una laguna dove costruirono capanne o ranchos (case col tetto di paglia), ma, scontenti del luogo, continuarono sino alla località chiamata Chic-pach, dove sostarono e quindi, lasciando una pietra come monumento, continuarono la loro peregrinazione nutrendosi di radici. Giunsero ad un'altra località che denominarono Chi-Quiché e finalmente su un monte che chiamarono Hacavitz-Chipal, «dove presero stanza».
51 Xa hunam ca tzih. Tzih ha varie accezioni: parola, opinione, storia, destino o sorte.
52 «Quelli dell'albero rosso o di fuoco».
53 Il villaggio di Rabinal conserva l'antico nome. Tziquinahá è l'odierno villaggio di Atitlán [di Santiago Atitlan e fu la capitale dei Zutuhil; dalla traduzione di Goetz e Morley].
54 Il Manuscrito de Solalá descrive con parole simili gli stenti e la fame delle tribù: «Non vi era nulla da mangiare... mancava tutto, ci nutrivamo soltanto della corteccia degli alberi, fiutavamo soltanto la punta dei nostri bastoni e ciò ci bastava per sentirci soddisfatti»; xa ca ti ca zec m xe ca chamey ti cuquer vi ca cux ruma, in lingua cakchiquel.
55 Cholochic-Abah, Bocotahinac-Zatiaieb [spagnolo: Piedras en hilera, Arenas arrancadas].
56 Hu uq chi qui cumeh ri, xa huna ixim, nell'originale.
57 Huhun ta cut y ya vi. Il verbo ya, yac, è qui usato nell'accezione di «serbare», «custodire», «mettere al sicuro», Diccionario Cakchiquel.
58 «Burrone del nascondiglio ».
59 In Avilix.
60 Hun nima caq ha, un grande tumulo, dipinto di rosso [cu nello spagnolo dell'America centrale], piramide artificiale, come quelle che gli Indiani costruivano per base dei loro templi. Su alcune di esse si conserva ancora la pittura rossa del rivestimento. A Hacavitz-Chipal vissero molti anni, dice il Título di Totonicapán. Secondo il Brasseur, il monte Hacavitz è uno di quelli che s'inalzano a Nord di Rabinal, a tre leghe dal fiume Chixoy. Sui monti Cuchumatan, ad Ovest [Goetz e Morley: «Est»] del fiume Chixoy ed a 1800 m di altezza, esiste la località archeologica di Chipal, che potrebbe essere l'antica Hacavitz-Chipal.
61 Canti, varietà di serpente velenoso, Trigonocephalus specialis. Questi animali erano considerati dagli antichi Indiani dèi minori della loro mitologìa.
Stop
62 Paese di Tan, Amagtán nel Título di Totonicapán.
63 Il nome Uquincat potrebbe significare «rete di zucche», da uqui, albero che produce un frutto simile alla zucca, e cat, rete. Il Título de los Señores de Totoniapán cita questa località col nome di Uquín, ed aggiunge che insieme con le tribù di Tamub e di Ilocab erano i tredici popoli chiamati Vucamag-Tecpam.
64 Xa pa ec, xa pa atziac a qo vi. Ec è il pie de gallo, Tillandsia Species pluribus, bromeliacea che vive sugli alberi, come si è detto prima [cfr. Prima parte, nota 64]. Atziac è un'altra bromeliacea che cresce anch'essa sugli alberi e getta sino a terra i suoi grossi filamenti, simili ad una chioma grigia. Il suo nome corrente, nel Guatemala, è paxte, derivato dal náhuatl paxtle. È un'epifita Dendropogon usneoides, chiamata impropriamente nel Sud degli Stati Uniti «musco della Florida» e «musco spagnolo».
«L'alba sulle montagne di Tohil, di Avilix e Hacavitz». Il Título de los Señores de Totoniapán dice che quando i capi della nazione quiché sparirono, i loro figli si ritrovarono, in virtù d'un prodigio, sulle montagne dove erano gli dèi, e che da allora quei monti sono chiamati Zaquiribal-Tohil, Zaquiribal-Avilix e Zaquiribal-Hacavitz.
66 Gli Indiani Maya e Quiché chiamano pom l'incenso o resina bianca ed aromatica che trasuda da un albero e che era da loro usata nelle cerimonie religiose. Questa resina è comunemente nota col nome di copale, dal náhuatl copalli (Protium copal, Engl.).
67 Questi nomi hanno un accentuato sapore messicano e paiono provenire dalla lingua azteca. Mixtán-Pom potrebbe essere la copale o l'incenso che si bruciava a Mictán Ahau, e Caviztán-Pom quello che era offerto a Cavestán Ahau. Il P. Guzman (Compendio de nombres en lengua cakchiquel) nomina come dèi di questa tribù, tra altre divinità minori, Mictán Ahau e Cavestán Ahau. La voce azteca Mictlán serve ad indicare l'inferno. È chiaro che Cabauil-Pom è l'incenso offerto alla divinità quiché in generale, la quale è indicata con la parola Cabauil, probabilmente derivata dal maya Kauil, «dio». La varietà dell'incenso usato nelle offerte pare trovare una spiegazione nel fatto che i Quiché amavano offrire ai loro dèi « incenso di diverso odore ».
68 Uccello rampicante della famiglia dei pappagalli: quel in quiché è un pappagallo noto nel Guatemala col nome di chocoyo.
69 [«Rey zope»] Zaccuch, letteralmente avvoltoio o zopilote bianco, «zopilole dal petto bianco», dice il P. Coto. Il cosiddetto re zope, Gypargus papa, più grande del comune avvoltoio [re degli avvoltoi o avvoltoio papa]. Si distingue anche per la combinazione delle piume nere e bianche.
70 Ma cu x-chihtahic u gatanal. Tutti i traduttori hanno seguito l'interpretazione di Ximénez, il quale tradusse così queste parole: «non era forte il suo calore». Chihtahic, tuttavia, significa «sopportare», «soffrire», e la frase negativa si deve intendere nel senso che il calore del sole era insopportabile o insoffribile. Se il calore del sole non avesse avuto forza, non avrebbe prosciugato la superficie umida e melmosa della terra. [Nella sua recente edizione del Popol Vuh, Schultze Jena da in tedesco la traduzione corretta del passo; dalla traduzione Goetz-Morley].
71 U cabauilal cab, balam, ecc.
72 Ma ta oh yacamarinac. «Forse non staremmo in piedi». La trasformazione degli animali in pietra, secondo il Chavero, è simbolo di mutamento di religione, l'abbandono cioè del vecchio culto degli animali per l'adorazione degli astri.
73 Mana e ta quiá vinac chi qui qoheic, xa e chutin ta x-e qobe chiri chuvi huyub Hacavitz. Ximénez da una diversa interpretazione di questa frase: «E non erano grandi gli uomini allora, ma erano piccoli, quando stettero sui monti di Hacavitz».
74 « Noi vediamo », oppure « la nostra colomba », mucuy in maya.
75 II grande civilizzatore era adorato come divinità dagli antichi Messicani; i quali gli davano diversi nomi. Lo chiamavano Ehecatl o dio del vento; Yolcuat, ossia serpente a sonagli; Quetzalcoatl, o serpente coperto di piume verdi. Quest'ultimo significato corrisponde anche al nome maya Kukulcán ed al nome quiché Gucumatz. Questo passo rivela come i Quiché identificassero anche Quetzalcoatl col loro dio Tohil. Infatti erano entrambi dèi della pioggia.
76 Pa quechelah Amac Dan ubi. Questa località era già stata nominata nel capitolo ottavo di questa terza parte, quale sede della tribù di Tamub.
77 Tzotzihá, «la casa dei zotzil o pipistrelli», ossia i Cakchiquel, i quali avevano come simbolo il pipistrello, allo stesso modo dei Zotzil di Chiapas. Chimalcán o chamalcán, come è stato spiegato nel capitolo sesto di questa terza parte, era il nome di un serpente, animale sacro tra i popoli dell'America centrale. Ahpozotzil ed Ahpoxahil erano i nomi del re dei Cakchiquel e del suo coadiutore o erede. Gli Spagnoli diedero al primo, che governava nel 1524, il nome di Sinacán, dal náhuatl Tzinacán, che significa pure «pipistrello». Xahil, che si può tradurre «il danzatore», da xah, «danzare», era il nome della seconda casa regnante; uno dei discendenti di questa, Francisco Hernàndez Arana, scrisse il Memorial de Solalá, che contiene la storia della nazione cakchiquel.
78 Chirih abah. Il senso di queste parole è enigmatico. Si può tuttavia
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ricavare qualche lume per la loro interpretazione qualora si ricordi la costante associazione dell'antica divinità americana con la pietra. Il Libro de Chilam Balam de Chumayel, nel descrivere la creazione del mondo, dice che Dio era nascosto nella pietra quando non esisteva né il ciclo né la terra, e che quindi uscì dalla pietra e cadde su una seconda pietra ed allora palesò la propria divinità (Kuil). I documenti quiché parlano della pietra che Nacxit diede a quelle tribù quando partirono da Tulàn e che «esse usavano per i loro incantesimi». Ed aggiungono che a Qotuhá o Tzutuhá trovarono anche una pietra simile a quella che aveva loro dato Nacxit, la quale fu oggetto d'adorazione per i re ed i popoli. Da parte sua, il manoscritto dei Cakchiquel parla della pietra di ossidiana, o Chay Abah, alla quale quella nazione prestava culto.
79 E cu vonovoh, «nel folto e nel fitto».
80 Xa col xa r'achac noh ruq yia. Invece dell'incenso orientale, i Quiché bruciavano sugli altari dei loro dèi svariate sostanze aromatiche: trementina, cioè la resina del pino, che essi chiamavano col; pom, cioè il copalli del Messico; la gomma da loro chiamata noh, che è un'altra resina, secondo Ximénez, e l'erba iperico o hypericum, Tagetes lucida, della famiglia delle composite. Secondo il Sahagún, gli Aztechi usavano l'erba che chiamavano yiauhtli, secca e macinata, che ardeva come l'incenso, e che pare sia la stessa erba che i Quiché chiamavano yiá. La gomma noh nominata nel testo può essere la stessa che i Maya del Yucatàn chiamano xnoh, «resina stillata dal pino», secondo il Roys, cioè trementina.
81 Come si e detto altrove, con la parola queh, «cervo», si comprendono tutti i quadrupedi.
82 Ch'y canah cut r'izmal ri queh. Probabilmente il testo allude alla pelle coperta di pelame del cervo, che i sacerdoti dovevano mostrare al popolo in luogo dei veri dèi del Quiché, ottemperando agli ordini di Tohil.
83 Ch'y chahih are e ri u mucuvach chi mich canoc, nell'originale.
84 Si osserverà che i tre dèi parlavano insieme alle tribù.
85 «Che è un'erba», dice Ximénez; letteralmente, «testa di fungo».