- 1961 - Le pietre del Cile - Pablo Neruda - Popol Vuh - Insetti

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- 1961 - Le pietre del Cile

1960 - Le Pietre del Cile

Alcune parole per questo libro di pietre

Sono ormai vent'anni che ho lasciato tra i miei pensieri questo libro pietraia, nato nelle abbandonate coste e cordigliere della mia patria. Non mi fu possibile scriverlo allora per ragioni erranti e faccende di ogni anno e d'ogni giorno.
Quando avevo ormai avanzata la mia piccola dedizione al rocceto e ormai contavo con l'aiuto più grande del mio buon compagno ed eccelso fotografo Antonio Quintana mi giunse dalla Francia un libro in tutto simile al mio. Firmava le poesie, di stupendo splendore, l'amico Pierre Seghers e l'è belle fotografie di pietre francesi erano della venezolana Fina Gómez.
Così, dunque, spiegata questa coincidenza, la celebro come circostanza assai felice.
Dovere dei poeti è di cantare con i loro popoli e di dare all'uomo ciò che è dell'uomo: sogno e amore, luce e notte, ragione e vaneggiamento. Ma non dimentichiamo le pietre! Non dimentichiamo i taciti castelli, gli irti, rotondi regali del pianeta. Fortificarono cittadelle, avanzarono per uccidere o per morire, decorarono l’esistenza senza compromettersi, conservando la loro misteriosa materia ultraterrena, indipendente ed eterna.
La mia compagna Gabriela Mistral disse una volta che in Cile ci vediamo presto lo scheletro, tanta roccia abbiamo in montagne e sabbie. È una gran verità quella che disse, come quasi sempre.
Io venni a vivere a Isla Negro nell'anno 1939 ; la costa era seminata di portentose presente di pietra e queste hanno conversato con me in un linguaggio roco e bagnato, mescolanza di grida marine e di avvertimenti primordiali.
Per questo il libro, abbellito con i ritratti degli esseri di pietra, e una conversazione che lascio aperta perché tutti i poeti della terra la continuino e trovino il segreto della pietra e della vita.

PABLO NERUDA


Storia

Per la pietra fu il sangue,
per la pietra il pianto,
la orazione, il corteggio:
la pietra era l'arbitrio.

Con sudore e fuoco fecero
dalla pietra nascere gli dèi,
poi crebbe San della pioggia,
San Signor delle battaglie,
per il grano, per la terra,
dèi uccelli, dèi serpenti,
dèi fecondatori, dèi funesti,
tutti nacquero dalla pietra:
l'America li innalzò
con mille piccole mani d'oro,
con occhi che ormai si persero
cancellati dal sangue e dall'oblio.

Ma la mia patria era di luce,
solo l'uomo andava e veniva,
senz'altri dèi che il tuono:

lì crebbe il mio cuore:
io vengo dall'Araucanía.

Era vegetale e marina,
diurna come i colibrì,
rossa come un granchio,
verde come l'acqua d'Ottobre,
argentea come il pescerè,
selvaggia come una pernice,
e più sottile d'una freccia,
era la terra australe, morsa
dai grandi venti del cielo,
dalle stelle del mare.

In Cile non nascono gli dèi,
il Cile è la patria delle anfore.
Per questo nelle rocce crebbero
braccia e bocche, piedi e mani,
la pietra si fece monumento:
il freddo lo tagliò, il mese di Giugno
gli aggiunse petali e penne
e poi il tempo venne e venne,
se n'andò, se n'andò, tornò, tornò,
finché il più disabitato,
il regno senza sangue né dèi,
s'empì di pure figure:
la pietra illuminò la mia patria
con le sue statue naturali.

Toro

II più antico toro attraversò il giorno.
Le sue zampe graffiavano il pianeta.
Proseguì proseguì fin dov'è il mare.
Giunse alla riva il più antico toro.
Alla riva del tempo, dell'oceano.
Chiuse gli occhi, l'erba lo coprì.
Respirò tutta la distanza verde.
Il resto lo costruì il silenzio.

I Naufraghi

I naufraghi di pietra cantavano sulla costa:
era di sale radiante la torre che cantavano;
si elevò goccia a goccia fino a che fu d'acqua,
di bolla in bolla fino ad uscire all'aria.
I naufraghi che convertì in pietra l'oblio
(non un oblio, ma tutto l'oblio),
quelli che attesero semisommersi
terrestre ausilio, voci, braccia, vino, aspirina,
e solo ricevettero granchi infernali,
duri morti si fecero con occhi di granito;
lì stan disseminate le loro statue,
le loro informi, tonde, solitarie statue.

Ma appresero a cantare. Lentamente
si alzò la voce dei naufraghi perduti.
È un canto di sale come un'onda,
è un faro di pietre invisibili:
le pietre parallele
guardano verso i raggi d'Oceania,
verso il mare increspato,
verso l'infinito senza navi né paesi.

Un sole cadde innalzando
la spada verde della sua ultima luce,
un altro sole cadde
di nube in nube verso l'inverno,
un altro sole
attraversò le onde,
i pennacchi furiosi
che sollevavan la collera e la schiuma
sopra le irritate
pareti di turchese,
e lì le moli pure:
sorelle parallele,
atlanti immobili
trattenute
dalla pausa del freddo,
riunite nella loro forza
come leonesse in roccia convenite,
come prue che continuano senza oceano
la direzione del tempo,
la cristallina eternità del viaggio.

Solitudini

Tra le pietre della costa, camminando,
lungo la riva del Cile,
più lontano,
mare e mare, luna e sargasso,
l'estensione solitaria del pianeta.

Costa fatta a pezzi
dal tuono,
rosa
dai denti di ogni nuova aurora,
sciupata dal lungo movimento
del tempo e delle onde:
uccelli lenti circolano,
penne color di ferro,
e si sa che qui termina il mondo.
Nessun lo dice perché
nessuno esiste,
non è scritto, non vi son numeri, lettere,
nessuno calpestò l'oscura sabbia
come polline di piombo:
qui nacquero fiori desolati,
piante che si espressero con spine
e con fiori improvvisi
dai petali furiosi.
Nessuno ha detto che non v'è più territorio,
che qui incomincia il vuoto,
l'antico vuoto tutelare
con catastrofe, ombra
e ombra, ombra, ombra:
così è la dura costa ove cammino
dal Sud al Nord all'Ovest, verso le solitudini.

Bella virtù quella del conflitto
che acqua e schiuma innalzano
in questo lungo confine :
s'edificò qual fiore l'onda
e ripete la sua forma di castello,
la torre che decade e si sbriciola
per crescere di nuovo palpitando
come se pretendesse
di popolare l'oscurità con la sua bellezza,
di empire di luce l'abisso.

Camminando
dal confine antartico
per pietra e mare, senza dire
neppure una parola,
solo gli occhi parlano e riposano.

Innumerevole solitudine spazzata
da vento e da sale, da freddo,
da catene,
da luna e terremoto:
debbo contare la sdentata stella
che qui s'infranse,
raccogliere i frammenti
di pietra, parlare
senza nessuno, con nessuno,
essere e non essere in un solo palpito:
io son la sentinella
di una caserma vuota di soldati,
di una gran solitudine piena di pietre.

Pietre del Cile

Pietre pazze del Cile, sparse
dalle cordigliere,
rocceti
neri, ciechi, opachi,
che legano
alla terra le strade,
che metton punto e pietra
alla giornata,
rocce bianche
che interrompono i fiumi
e sono dolci
baciate
da una cintura
sismica
di schiuma,
granito
dell'altezza
scintillante
sotto
la neve
come un monastero,
spina dorsale
della più
dura
patria
o nave
immobile,
prua
della terra terribile,
pietra, pietra infinitamente pura,
sigillata
come
cosmica colomba,
dura di sole, di vento, d'energia,
di sogno minerale, di tempo oscuro,
pietre pazze,
stelle
e vessillo
addormentato,
vette, gironi, rocce:
continui il silenzio
sopra.
il vostro
durissimo silenzio,
sotto l'involucro
antartico del Cile,
sotto
la sua chiarità ferruginosa.

Casa

Forse questa è la casa in cui vissi
quando non esistevo né c'era la terra,
quando tutto era luna o pietra od ombra,
quando la luce immobile non nasceva.
Forse allora questa pietra era
la mia casa, le mie finestre o gli occhi.
Questa rosa di granito mi ricorda
qualcosa che m'abitava o che abitai,
grotta o testa cosmica di sogni,
coppa o castello o nave o nascimento.
Tocco il tenace sforzo della roccia,
il baluardo che colpisce nel salmastro,
e so che qui son rimaste mie fessure,
sostanze rugose che salirono
dalle profondità alla mia anima;
pietra fui, pietra sarò, per questo
tocco la pietra che per me non è morta:
e ciò che fui, ciò che sarò, riposo
da una lotta lunga come il tempo.

La statua cieca

Or fa mille volte rnille
anni di pietra
io fui spaccapietre
e questo fu quello che feci,
battendo
senza mani
né martello,
aprendo
senza scalpello,
guardando il sole senz'occhi,
senza essere,
senza esistere che nel vento,
senz'altro pensiero che un'onda,
senz'altri arnesi
che il tempo,
il tempo,
il tempo.

Feci la statua deca
che non guardasse,
che lì
nella desolata
arena
mantenesse la sua mole
come mio monumento:
la statua
cieca
che quel primo uomo
che uscì dalla pietra,
il figlio della forza,
il primo
che scavò, toccò, impose
la sua creazione perduta,
cercò il fuoco.

E così nacqui, nudo
e azzurro spaccapietre,
lungo coste nelle tenebre,
fiumi ancora oscuri,
in grotte sferzate dalla coda
dei sauri cupi,
e mi costò trovarmi,
farmi mani,
occhi, dita, cercare
il mio stesso sangue,
e allora la mia gioia
si fece statua:
la mia stessa forma che copiai battendo
attraverso i secoli sulla pietra.

II marinaio morto

II marinaio ferito
dai mari,
cadde nell'antico abisso,
nel sonno del sargasso.
Poi lo precipitarono
dal vento
e il sale iracondo
disseminò la morte.

Qui è la sua testa.

La pietra conservò le cicatrici
quando la notte
dura
cancellò il suo corpo. Ora permane.

E una pianta del mare bacia la sua ferita.

Bue

Animale della schiuma
che cammini
per la notte, pel giorno,
per l'arena.
Animale
dell'autunno
che vai
verso l'antico
odor del muschio,
bue dolce
sul cui mento
fiorirono le rocce
del sottosuolo
e si formò il terremoto
di tuoni e di zoccoli,
ruminando le tenebre,
perduto
tra i lampi,
mentre vive la schiuma,
mentre il giorno
estrae
le ore dalla sua torre,
e abbatte la notte
sul tempo
il suo oscuro sacco freddo,
tremante.

L’arpa

Andava sola la musica. Non v'era penna, pelo,
latte, fumo, nomi, non era notte né giorno;
sola tra i pianeti che nascevano dall'eclissi
la musica tremava come una vestitura.
D'improvviso il fuoco, il freddo, condensarono una goccia
e l'universo plasmò la sua estesa vetrina,
lava, cenere irsuta, scivolosa aurora,
tutto andò trasmigrando di durezza in durezza,
e sotto l'umidità appena celeste
il diamante stabilì la sua gelida simmetria.
Allora il suono primordiale,
la solitaria musica del mondo
si congelò e cadde trasformata in stella,
in arpa, in cetra, in silenzio, in pietra.

Per la costa del Cile, col freddo, e in inverno,
quando cade la pioggia lavando le settimane,
ascoltate: la solitudine torna a essere musica,
e, non so, mi sembra, che l'aria, che la pioggia,
che il tempo, qualcosa con onda e con ali,
passi, cresca. E l'arpa si risveglia dall'oblio.

Teatro di dèi

È così su questa costa.
D'improvviso, contorte,
acerbe, accatastate pietre,
estatici
precipizi
o tenaci teatri,
navi e gallerie
o rotolanti
monconi recisi:
è così su questa costa
il lunare rocceto,
l'uva del granito.

Macchie arancione
d'ossido, vene verdi,
sopra la pace calcarea
che la schiuma batte con le sue chiavi
o l'alba con la sua rosa,
son così queste pietre:
nessuno sa
se uscirono dal mare o al mare tornano,
qualcosa
le sorprese
mentre vivevano,
nell'immobilità si spensero
e costruirono una città morta.
Una città senza grida,
senza cucine,
un solenne recinto
di purezza,
forme pure cadute
in un disordine senza resurrezioni,
in una moltitudine che perse lo sguardo,
in un grigio monastero condannato
alla verità nuda dei suoi dèi.

II leone

Un gran leone giunse da lontano:
grande era come il silenzio,
aveva sete, cercava sangue,
e dentro la sua forma
aveva fuoco come una casa,
ardeva come un monte di Osorno.

Altro non trovò che solitudine.
Ruggì scontroso e affamato:
poteva solo mangiar aria,
schiuma impune della costa,
gelide lattughe del mare,
aria color d'uccello,
inaccettabili alimenti.

Triste leone d'altro pianeta
condotto dall'alta marea
agli isolotti di Isla Negra,
all'arcipelago di sale,
senz'altro che un muso vuoto,
degli artigli disoccupati
e una coda come un piumino.

Sentì tutto il ridicolo
della sua struttura marziale
e con gli anni che passavano
s'andò arrugando di vergogna
La timidezza lo portò allora
alle peggiori arroganze
e invecchiò come uno
dei leoni della Piazza,
si convertì in ornamento
di scalinata, di giardino,
fino a sotterrar la triste fronte,
a fissar gli occhi nella pioggia,
e rimanere quieto attendendo
la giustizia grigia della pietra,
l'ora della geologia.

Dorme il bisonte

Dolce è il suo sonno, sogna


boschi ora anch'essi pietrificati


il suo muso è solo linea

il suo collo un increspato vegetale,

le sue corna se le portò via il vento

con esse risveglia l'aurora.

Io tornerò

Un giorno, uomo o donna, viandante,
poi, quando più non vivrò,
qui cercate, cercatemi
tra pietra e oceano,
alla luce procellaria
della schiuma.
Qui cercate, cercatemi,
perché qui tornerò senza dir nulla,
senza voce, senza bocca, puro,
qui tornerò a essere il movimento
dell'acqua,
del suo cuore selvaggio,
qui starò perduto e ritrovato:
qui sarò forse pietra e silenzio.

Dove cadde l’assetato

Tumuli del deserto.

Qui cadde nella morte
il camminante,
qui terminò il viaggio
e il viandante.
Tutto era sole, tutto sete e arena.
Più non potè e divenne silenzio.

Poi passò quel che segue
e il caduto
salutò
con una pietra,
con la pietra assetata della strada.

Oh cuore di polvere cosparso,
in polvere del deserto convertito,
cuore viandante e compagno,
forse da saline e da fatiche,
forse dalle amare miniere, sei uscito,
incominciasti a camminare tra le sabbie,
nel sale del deserto, con l'arena.

Una pietra dopo l'altra
qui eressero
un monumento all'eroe stanco,
a chi più non potè e lasciò i suoi piedi,
poi le gambe, indi lo sguardo,
la vita sulla strada della sabbia.

Ora una pietra venne,
volò un ricordo duro,
giunse una dolce pietra,
e il tumulo dell'uomo nel deserto
è un pugno di pietra solidale.

II ritratto nella roccia

Io sì lo conobbi, vissi gli anni
con lui, con la sua sostanza d'oro e di pietra,
era un uomo stanco :
lasciò nel Paraguay padre e madre,
figli, nipoti,
gli ultimi cognati,
la porta, le galline,
e alcuni libri semiaperti.
Bussarono alla porta.
Quando aprì lo portò via la polizia,
lo bastonarono tanto
che sputò sangue in Francia, in Danimarca,
in Spagna, in Italia, faticando,
così morì e cessai di vedere la sua faccia,
cessai d'udire il suo profondissimo silenzio,
quando una volta, di notte, con acquazzone,
con neve che tesseva
il vestito puro della cordigliera,
a cavallo, laggiù,
guardai, lì stava l'amico:
di pietra era il suo volto,
il suo profilo sfidava le intemperie,
sul suo naso il vento erompeva
in un lungo ululato d'uomo perseguitato:
lì venne a finire l'esiliato:
vive nella sua patria trasformato in pietra.

La gran tavola di pietra dura

Alla tavola di pietra giungemmo
noi bimbi di Lota, di Quepe,
di Quitratùe, di Metrenco,
di Ranquilco, di Selva Oscura,
di Yumbel, di Yungay, di Osorno.

Ci sedemmo presso la tavola,
la tavola fredda del mondo,
e nessuno mai ci portò nulla,
tutto era terminato,
s'erano mangiato tutto.

Un solo piatto sta attendendo
sopra l'immensa pietra dura
del mondo e del suo ampio vuoto:
e ancora un bimbo attende,
egli è la verità dei sogni,
è la terrestre speranza.

La nave

Camminavamo e salivamo: il mondo
era un assetato meriggio,
l’aria non tremava, non esistevano le foglie,
l'acqua era lontana.
La nave o prua allora
sorse dai deserti,
navigava verso il cielo :
una punta di pietra diretta
verso l'insopportabile infinito,
una basilica chiusa
dagli dèi perduti
e lì stava la prua, freccia o nave
o torre tremebonda,
e per la fatica,
la sete, la polverosa,
la sudata stirpe
dell'uomo che saliva
le cordigliere dure,
né acqua né pane né erba,
solo una roccia grande che saliva,
solo la nave dura della pietra e della musica.

Fin quando? gridai, gridammo.

Ci ha ucciso ormai la buona madre terra
col cactus ferreo,
con la maternità ferruginosa,
con tutto questo deserto,
sudore, vento e sabbia,
e quando ormai giungevamo
a riposare avvolti dal vuoto
una nave di pietra
ancora voleva imbarcarci
verso dove senz'ali
volare non si può
senz'esser morti.

Questo accadde quando camminavamo stanchi
e dura era la cordigliera,
pesante come una catena.

Solo fin lì giunse il mio viaggio:
più in là iniziava la morte.

La nave irsuta

Nave delle spine,
perforata
come il petto dell'uomo
nella navigazione dei dolori,
bandiera
che crivellò
con la sua battaglia
il tempo
e poi
si sbriciolò, lasciò nelle fenditure
l'inverno calcareo,
neve,
neve di pietra,
neve di pietra pazza e solitaria,
allora
il cactus del Pacifico
depositò i suoi nidi,
la sua chioma elettrica di spine.
E il vento amò questa nave
immobile e volante
le diede i suoi tesori:
la barba delle isole,
un sussurro del freddo,
la convertì in favo per le aquile,
sollecitò le sue vele
perché il mare sentisse
passar la pietra pura d'onda in onda.

La creazione

Ciò accadde nel gran silenzio
quando nacque l'erba,
quando appena si staccò la luce
e creò il vermiglione e le statue,
allora
nella gran solitudine
s'aprì un ululato,
qualcosa rotolò piangendo,
si dischiusero l'ombre, salì solo
come se singhiozzassero i pianeti
e poi l'eco
rotolò di tonfo in tonfo
finché ciò che nasceva tacque.

Ma la pietra conservò il ricordo.

Conservò il muso aperto delle ombre,
la palpitante spada dell'ululato,
e c'è nella pietra un animale senza nome
che ancora ulula senza voce verso il vuoto.

La tomba di Victor Hugo a Isla Negro

Una pietra tra tutte,
pietra levigata,
intatta come l'ordine
d'un pianeta
qui nelle solitudini
fu posta,
e la leccano l’onde
le schiume la bagnano,
ma emerge
liscia, solenne, chiara,
tra l'impervio e duro rocceto,
arrotondata e serena,
ovale, determinata
da maestosa morte
e nessuno sa chi dorme circondato
dall'insondabile collera marina,
non lo sa nessuno, solo
la luna dell'albatro,
la croce del cormorano, la zampa dura
del pellicano, solo
lo sa il mare, solo lo sa
il triste tuono verde dell'aurora.

Silenzio, mare! Silenziose
recitino il loro padrenostro le schiume,
allunghi l'alga lunga i suoi capelli,
il grido umido
spenga
il gabbiano:
qui giace,
qui infine tessuto
da un gran monumento abbattuto
il suo canto si coprì con la bianchezza
dell'incessante mare e delle sue fatiche,
e sotterrato nella terra,
nella fragranza
della Francia fresca e fine
navigò la sua materia,
affidò al mare la sua barba sottomarina,
attraversò le latitudini,
cercò tra le correnti,
attraversò tifoni e fianchi
d'arcipelaghi puri,
fino a che le colombe torrenziali
del Sud del mare, del Cile,
attrassero i passi tricolore
dello spettro niveo
e qui riposa, solo
e disciolto :
entrò nella turbolenta chiarezza,
baciato dal sale e dalla tormenta,
e padre della sua stessa eternità
dorme alfine, disteso,
coricato nel tuono intermittente,
nella fine del mare e delle sue cascate,
nella panoplia della sua potenza.

I tre anatroccoli

Or son mille
volte
mille
anni
più uno
volò un anatroccolo chiaro
sopra il mare.
Andò a scoprire le isole.
Volle conversare
con il ventaglio
della palma,
con le foglie
del banano, mangiare
semi tricolori
d'arcipelago,
entrare in matrimonio
e fondare
emisferi popolati
d'anatroccoli.

Nelle silvestri sorgenti
volle
stabilire lagune
nobilitate dagli asfodeli.
Si trattava senza dubbio
d'un esotico anatroccolo
perduto
in mezzo
ai cespugli
schiumosi del Cile.

Quando
volò
come saetta
i suoi due fratelli
piansero
lacrime
di pietra.
Egli le udì
cadere
nel suo volo,
nella metà del circolo
dell'acqua,
nell'ombelico
centrale
del grande oceano
e tornò.

Ma
i suoi fratelli
erano
ormai
solo
due statue
oscure
di granito,
perché
ogni lacrima
li fece pietra:
il pianto
smisurato
pietrificò
il dolore
in monumento.

Allora, l'errante
pentito
raccolse le ali,
i suoi sogni,
dormì con i
fratelli
e a poco a poco il mare,
il sale,
il cielo,
trattennero su lui il loro brivido,
finché divenne
un anatroccolo di pietra.

Ora
come
tre
navi
navigano
tre anatroccoli
nel tempo.

La testuggine

La testuggine che
camminò
per tanto tempo
e tanto vide
con
i suoi
antichi
occhi,
la testuggine
che mangiò
olive
del più profondo
mare,
la testuggine che nuotò
per sette secoli
e conobbe
sette
mila
primavere,
la testuggine
blindata
contro
il caldo
e il freddo,
contro
i fulmini e le onde,
la testuggine
gialla
e d'argento,
con severi
nei
d'ambra
e piedi da rapina,
la testuggine
rimase
qui
a dormire,
e non lo sa.

Per la vecchiaia
s'andò
indurendo,
cessò
d'amare le onde
e rigida divenne
come un ferro da stiro.
Chiuse
gli occhi che
tanto
mare, cielo, tempo e terra
sfidarono,
s'addormentò
tra le altre
pietre.

Il cuore di pietra

Guardate,
questo
fu il cuore
d'una sirena.
Irrimediabilmente
dura
veniva alla riva
a pettinarsi
e a giocare a carte.
Bestemmiava
e sputava
tra le alghe.
Era l'immagine
stessa
di quelle
infernali
ostesse
che
nei racconti
assassinano
il viaggiatore stanco.

Uccideva i suoi amanti
e danzava
nelle onde.

Così
andò trascorrendo
la malvagia
vita della sirena,
finché
il suo feroce
amante marinaio
l'inseguì
con arpione e con chitarra
sopra tutte le schiume,
più in là
dei più
lontani arcipelaghi,
e quando
ormai tra le sue braccia
reclinò
la fronte smussata
il navigante
le diede
un ultimo bacio
e giustiziera morte.

Allora, dal naviglio
discesero
i capitani
morti,
decapitati
da
quella
traditrice
sirena,
e con scimitarra,
spada,
forchetta
e coltello,
estrassero
il cuore di pietra
dal suo petto
e presso il mare
lo lasciarono
ancorato,
perché
così si educhino
le piccole
sirene
e apprendano
a comportarsi
bene
con
gli
innamorati
marinai.

All'aria nella pietra

Nella roccia nuda
e nella chioma
aria
di pietra e onda.
Tutto cambiò di pelle ora per ora.
Il sale fu luce salata,
il mare aprì
le sue nubi,
il cielo
abbattè la sua schiuma verde:
come un fiore
conficcato in una
lancia d'oro
il giorno risplende:
tutto
è
campana, coppa,
vuoto che s'innalza,
cuore trasparente,
pietra
e acqua.

A una pietra rugosa

Una pietra rugosa
e levigata
dal mare, dall'aria,
dal tempo.
Una pietra gigante, scossa
da un ciclone, da un vulcano,
da una
notte di schiume e di chitarre nere.

Solo una
pietra
sovrana
in mezzo
al tempo e alla terra,
vittoria
dell'immobilità, della durezza,
seria come gli astri
davanti
a tutto
ciò che si muove,
sola,
profonda, densa e pura.

Oh statua solitaria
eretta
nella sabbia!
Oh volume nudo
dove s'arrampicano
lucertole cineree
che bevono
una coppa
di rugiada
nell'alba,
pietra
come la schiuma,
contro il cangiante cielo,
contro la primavera.

Pietra infinita elevata dalle
mani pure della solitudine
in mezzo alla sabbia!

Le pietre e gli uccelli

Uccelli del Sud del Mare,
riposate,
è l'ora
della gran solitudine, l'ora di pietra.
Ho conosciuto ogni nido,
la stanza schiva
dell'errante,
ho amato il volo antartico,
la rettitudine cupa dei remoti uccelli.

Ora, riposate
nell'anfiteatro
delle isole:
più non posso
conversare con voi,
non vi sono
lettere, non v'è
telegrafo
tra poeta e uccello:
c'è musica segreta,
solo segrete ali,
piumaggio e potere.

Quanta distanza e quanto avidi
gli occhi d'oro crudele
che spiano l'argento fuggitivo!

Con l'ali chiuse
discende una meteora,
salta nella sua luce la schiuma,
e il volo sale nuovamente,
sale nell'alto come un pesce insanguinato.

Dagli arcipelaghi del Cile,
lì dove la pioggia
stabilì la sua patria,
vengon tagliando il cielo
le grandi ali nere,
e dominando
territorio e distanze
dell'inverno,
qui nel continente
di pietra solitaria,
amore, sterco, vita,
avete lasciato,
uccelli avventurieri
di pietra e mare e d'impossibile cielo.

Al viandante

Non sono così tristi queste pietre.
Dentro di esse vive l'oro,
han semi di pianeti,
hanno nel fondo campane,
guanti di ferro, matrimoni
del tempo con le ametiste:
dentro ridono con rubini,
si son nutrite di lampi.

Per questo, viandante, attenzione
alle tristezze della strada,
ai misteri nei muri.

M'è costato molto sapere
che non tutto vive fuori
e che non tutto muore dentro,
che l'età scrive lettere
con acqua e pietra per nessuno,
perché nessuno sappia dove,
perché nessuno intenda nulla.

La tenera mole

Non aver paura del volto implacabile
che terremoti e intemperie
costruirono, erbe marine,
piccole piante colore di
stella
salirono per il collo duro
della montagna sfidante.

L'impeto, il raptus, l'ira,
si fermarono con la pietra,
e quando n'uscì la forma
lanciata verso i pianeti,
piante terrestri fiorirono
nelle sue rughe di granito
e rimase con la tenerezza.

Uccello

L'uccello, uccello, uccello:
uccello, vola, uccellone,
fuggi al tuo nido, sali al cielo,
becca le nubi d'acqua,
attraversa la luna piena,
il pienosole e le distanze
col tuo piumaggio di basalto
e il tuo addome di piumapietra.

Pietre per Maria

Le pietre pure,
olive ovalate,
furono prima
popolazione
delle vigne
dell’oceano,
grappoli riuniti,
uva di favi
sommersi:
l’onda le sgranava:
cadevano nel vento,
rotolavano nell’abisso abisso abisso
tra lenti pesci,
sonnambule meduse,
code di laceranti squali,
corvine come pallottole!
le pietre trasparenti,
le dolcissime pietre,
pietruzze,
scivolarono
verso il fondo dell'umido regno,
più sotto, verso dove
esce di nuovo il cielo
e muore il mare sopra i suoi carciofi.

Rotolarono e rotolarono
tra dita e labbra sottomarine
fino alla dolcezza implacabile,
fino a essere solo tatto,
curva di coppa dolce,
petalo di fianco.

Allora infuriò la mareggiata
e un colpo d'onda dura,
una mano di pietra
scagliò i sassi,
li sgranò sulla costa
e lì in silenzio scomparvero:
piccoli denti d'ambra,
uva passa di miele e sale, fagioli d'acqua,
olive azzurre dell'onda,
mandorle dimenticate della sabbia.

Pietre per Maria!
Pietre d'onore per il suo labirinto!

Lei, come un ragno
di pietra trasparente,
tesserà il suo ricamo,
farà di pietra pura la sua bandiera,
fabbricherà con pietre inargentate
la struttura del giorno,
con pietre color zolfo
la radice d'un lampo perduto,
e una a una solleverà al suo muro,
al sistema, al decoro, al movimento,
la pietra fuggitiva,
l'uva del mare è tornata ai suoi grappoli,
reca la luce della sua stupenda schiuma.

Pietre per Maria !

Agate rugose d'Isla Negra,
sulfurei sassi
di Tecopilla, come stelle rotte,
cadute dall'inferno minerale,
pietre di La Serena che l'oceano
levigò, poi stabilì sull'altura,
e di Coquimbo il nero potere,
il basalto rotolante
di Maitencillo, di Toltén, di Niebla,
del vestito bagnato
di Chiloé marino,
pietre rotonde, pietre come uova
di pilpilén australe, dita translucide
del segreto sale, del congelato
quarzo, o durissima eredità
delle Ande, navi
e monasteri
di granito.

Lode
alle pietre
di Maria,
quelle che colloca come api chiare
nel favo della sua sapienza:
le pietre
dei suoi muri,
del libro che costruisce
lettera per lettera,
foglia per foglia
e pietra per pietra!
Si deve vedere e leggere questa bellezza
e amare le sue mani
dalla cui energia
esce, dolcissima,
una
lezione
di pietra.

Pietre Antartiche

Lì termina tutto
e non finisce:
lì incomincia tutto :
si salutano i fiumi nel gelo,
l'aria s'è sposata con la neve,
non vi son strade né cavalli
e l'unico edificio
lo costruì la pietra.
Nessuno abita il castello
neppure le anime perdute
che freddo e vento freddo
intimorirono:
sta sola lì la solitudine del mondo,
per questo la pietra
si fece musica,
elevò le sue sottili stature,
si alzò per gridare o per cantare,
ma restò muta.
Solo il vento,
la sferza
del Polo Sud che sibila,
solo il vuoto bianco
e un suono d'uccelli di pioggia
sopra il castello della solitudine.

Nient’altro

Della verità fui solidale :
d'instaurare luce sulla terra.

Volli essere comune come il pane:
la lotta non mi trovò assente.

Ma qui sono con ciò che amai,
con la solitudine che persi:
presso questa pietra non riposo.

Lavora il mare nel mio silenzio.


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