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- 1960 - Canzone di gesta

CANZONE DI GESTA (1960)


Questo libro è stato pensato dapprima per porre in rilievo la situazione di Portorico, la sua martirizzata condizione di colonia, la lotta dei suoi patrioti in armi.
In seguito l'opera si accrebbe per il verificarsi dei grandi avvenimenti di Cuba e si sviluppò nell'ambito caribico.
Perciò dedico il poema ai liberatori di Cuba, a Fidel Castro, ai suoi compagni e al popolo cubano.
E lo dedico a tulli coloro che a Portorico e in tutto il crepitante mondo caribico combattono per la libertà e la verità, sempre minacciate dagli Stati Uniti dell'America del Nord.
Non è un lamento di solitario, né un'emanazione dell'oscurità, ma un'arma immediata e guidata, un aiuto elementare e fraterno che affido ai popoli fratelli per ogni giorno delle loro lotte.
Coloro che prima molto mi rimproveravano continueranno a rimproverarmi molto. Da parte mia assumo qui, una volta di più, e con orgoglio, i miei doveri di poeta. La poesia ha avuto sempre la purezza dell'acqua o del fuoco, che lava o brucia.
Possa la mia poesia servire ai fratelli del Caribe in queste cose d'onore. Molto ci resta ancora da lavare e da bruciare nell'America intera.
Molto dobbiamo costruire.
Che ognuno rechi il proprio contributo con sacrificio e con gioia.
Hanno tanto sofferto i nostri popoli che ben poco gli avremo dato quando gli avremo dato lutto.


NERUDA

A bordo del Paquebot " Louis Lumiere ",
tra l'Europa e l'America, il 12 aprile 1960.

I
Portorico
Portopovero

E tardi in quest'età per un inizio,
e tuttavia questo è il mio sentire,
esco di nuovo, qui, come altre volte
a cantare, a morire, qui comincio.
Forza non v'è che mi farà tacere
salvo la triste immensità del tempo
e la morte alleata col suo aratro
dato all'agricoltura delle ossa.
Quello che scelsi è tema scottante,
con sangue, molte palme e silenzio:
di un'isola si tratta circondata
d'acque infinite e infiniti morti:
cresce il dolore, lì, di chi attende
e si dissangua un fiume di lamenti,
isola triste tutta imprigionata,
vanno e vengono cinerei i giorni,
vola la luce e torna alle palme,
viaggia la notte sulla nave nera
e resta sempre lì la prigioniera,
l'isola circondata dal dolore.
In lei il nostro sangue si consuma
perché un artiglio d'oro lo separa
dalla sua gente e dal suo amore.

II
Muñoz Marín

In queste acque c'è un grasso verme:
in queste terre un rapace verme:
si divorò dell'isola il vessillo
issando la bandiera dei padroni,
si nutrì del sangue prigioniero
dei poveri patrioti sotterrati.
Sulla corona di mais d'America
il vermicaio crebbe da quel verme
prosperando all'ombra del danaro,
di martiri e soldati insanguinato,
inaugurando falsi monumenti,
facendo della patria ereditata
una zolla costretta, resa schiava,
dell'isola qual stella trasparente
una ridotta tomba per gli schiavi,
convisse questo verme con poeti
dai suoi stessi esili debellati,
stimolo diede ai suoi professori
pagando peruviani pitagorici
perché dessero nome al suo governo:
il suo palazzo era di fuori bianco,
di dentro infernal come Chicago;
col cuore, con i baffi, con gli artigli
del traditore, Luis Muñoz Verme,
Munoz Marín, s'intende, pei presenti,
Giuda del territorio dissanguato,
Governator del giogo della patria,
Sobornatore dei poveri fratelli,
traduttore bilingue dei lor boia,
autista dell'whisky nordamericano.


III
Sta passando

Allegra è la freccia di quest'anni,
triste la nostra America offesa:
sale nell'alto l'uomo col suo raggio
e fonda sulla luna le sue spighe,
mentre laggiù marcisce il Nicaragua
roso dai vermi d'una dinastia
che disonora il sangue di Sandino
e in uno il seme di Rubén Darío:
ahi, Nicaragua, tu cuore di cigno,
stirpe tu dell'infuriata spada,
innalza la campana del tuo petto,
l'irata mela della tua vita,
recidi a ferro e fuoco i legacci
che incoronan di spine la tua stirpe.
Se osserviamo bene lo smeraldo,
la cintura central, la costa india
della piccola America sottile,
fino al diamante verde delle isole,
s'èrge una triste patria insanguinata:
nella metà d'un'isola radiante:
i denti di Trujillo affondarono
per trent'anni nella sua ferita;
là non v'è pace e neppure luna,
ombra né sole, regna la sventura,
che allor che un fosforeo scoppio
dell'uomo sgranò la meraviglia
e può essere alfin ogni esistenza
quella d'un re, stellata e squisita,
come una ragnatela di dolori
l'ira nelle Americhe continua,
la collera del povero e ignudo,
l'arbitrio del tiranno e l'ingordigia,
intanto che Muñoz di Portopovero
falsifica la firma della patria
e sotto la bandiera del pirata
vende lingua, ragion, terra e delizia,
vende l'onore della nostra America,
vende i padri ed i nonni, anche le ceneri.

IV
Cuba appare

Ma quando le torture e le tenebre
sembrano soffocare l'aria libera
e la schiuma dell'onde non appare,
e solo scorre tra gli scogli il sangue,
la mano di Fidel si leva e in essa
Cuba, la rosa pura del Caribe.
Mostra così la Storia con sua luce
che modifica l'uomo ciò ch'esiste
e se reca alla lotta la purezza
s'apre in suo onore insigne primavera:
indietro va la notte del tiranno,
la crudeltà, i suoi occhi insensibili,
l'oro strappato dalle sue unghie,
i mercenari e i giudici cannibali,
gli eccelsi monumenti sostenuti
da tormento, disonore e crimine:
tutto va nella polvere dei morti
allor che fonda il popolo i violini
e impavido guardando taglia e canta,
taglia l'odio di ombre e di mastini,
canta e innalza stelle col suo canto
e le tenebre taglia coi fucili.
Sorse così Fidel tagliando ombre
perché alfine spuntasser gelsomini.

V
La gesta

Se il fondo mare taceva i suoi dolori,
le speranze rinnovò la terra:
sulla costa sbarcaron, eran braccia
e pugni preparati per la lotta:
Fidel Castro con quindici dei suoi
e con la libertà scese all'arena.
L'isola era oscura come il lutto,
ma issaron la luce qual bandiera,
non avevano armi che l'aurora
e ancor essa dormiva sotto terra:
allora cominciarono in silenzio
la lotta e si diressero alla stella.
Affaticati e ardenti camminavano
Per onore e dovere alla guerra,
non avevano armi che il lor sangue:
erano nudi come se nascessero.
Nacque così la libertà di Cuba
da un pugno di uomini in lotta.
Poi con le vesti della sierra
li rivestì la dignità dei nudi,
li nutrì con il pane sconosciuto,
Ii armò con la polvere segreta,
con loro si destarono i dormienti,
lasciarono il sepolcro le offese,
le madri salutarono i lor figli,
raccontò il contadino la sua pena,
crebbe il puro esercito dei poveri,
crebbe come se fosse luna piena:
non gli tolse soldati la battaglia:
crebbe il cañaveral nella tormenta:
il nemico gli lasciò le armi
abbandonate là lungo le strade:
tremavano i carnefici e cadevano
ormai distrutti dalla primavera,
con uno sparo che condecorava
con la morte, alla fine, le lor maglie,
intanto che dei liberi l'impresa
le praterie muoveva, come il vento,
ed i solchi dell'isola scuoteva,
sorgeva sopra il mar come un pianeta.

VI
Antica storia

Ora io apro gli occhi e ricordo:
brilla e si spegne, elettrica e oscura,
fatta di gioia e di sofferenze
la storia amara e magica di Cuba.
Anni sono passati come pesci
pel mare azzurro e la sua dolcezza,
l'isola visse libertà e danza,
danzarono le palme con la schiuma,
erano un solo pane bianchi e negri
perché Martí li aveva riuniti,
seguiva la pace il suo destino d'oro
e crepitava il sole nello zucchero,
mentre maturo per il sol cadeva
il raggio del miele sulla frutta:
si compiaceva l'uomo del suo regno
e la famiglia dell'agricoltura,
quando giunse dal Nord una semente
ingorda, minacciosa e ingiusta,
che come ragno propagò i suoi fili
e distese metallica struttura,
insanguinati chiodi ficcò in terra
e sopra i morti elevò una cupola.
Era il dollaro dai denti gialli,
capitano di sangue e sepoltura.

VII
Terra centrale

Le Americhe uniscon la cintura
in mezzo ai due oceani nuziali,
dall'Atlantico mar prendono schiume,
dal Pacifico stelle torrenziali,
dai poli bianchi vengono le navi
cariche di petrolio e fior d'arancio:
le stive marinare han assorbito
il nostro sangue segreto minerale,
che costruisce le torri del pianeta
in crudeli e spinose capitali.
Per questo lì si stabili l'impero
del dollaro e i tristi familiari:
i sanguinosi cannibali caribici
camuffati da eroici generali:
di spietati topi un grande impero,
un'eredità di sputi militari,
di violenti una fetida caverna,
un fosso di fanghi tropicali,
una catena oscura di tormenti,
un rosario di pene capitali;
e il dollaro governa la vergogna
con una flotta bianca per i mari,
estraendo l'aroma bananiero,
il grano intenso dai cafetales,
eternizzando nella terra pura
i trujillos macchiati di sangue.
Povera America nel sangue sommersa
a mezza vita tra tanti pantani
inchiodata con spine alla croce,
legata e morsicata dai cani,
straziata da tanti invasori,
ferita da torture e violenze,
distrutta da venti favolosi,
vendite sacrileghe, furti colossali.
Oh sottile catena di dolori,
oh riunione del pianto di due mari.

VIII
Anche nel lontano Sud

Così s'è dissanguato nelle carceri
il garofano delle nostre repubbliche:
il cuore di Cuba fu stretto
dai torturatori di Batista
e prima Ubico in Guatemala mise
tragico catenaccio d'ingordigia.
Nelle più ampie terre del pianeta,
nelle montagne o patagonie gialle,
nei costellati vulcani della neve,
nei fiumi equatoriali palpitanti,
nell'amazzonico Sud dell'America,
le cicatrici della tirannia
segnan del Paraguay i muri rotti
e le amare pietre di Bolivia.

IX
Ricordo un uomo

Parlando delle torride palme
che il mar Caribico agita e bacia,
dirò che tra tanti occhi neri
quelli di Martí furono i più forti.
Lontano e vicino vide l'uomo
e ora il suo sguardo risplende
come se mai il tempo lo quietasse:
sono gli occhi di Cuba che fioriscono.
Allora era duro ed era oscuro
innalzare l'alloro indipendente:
sognar la libertà era un pericolo,
era cambiar la vita con la morte:
Martí destò con i suoi sogni e l'armi
l'uomo dei campi ed il sonnolento,
col sangue e col pensiero costruì
della luce nascente la struttura.

X
Quell'amico

Quindi Sandino attraversò la selva
e scaricò tutto il suo fuoco sacro
contro marinerie banditesche
cresciute e pagate a Nuova York:
arse la terra, risuonò il fogliame
lo yanky non stette ad aspettare:
si vestiva assai bene per la guerra,
brillavano le scarpe e le armi,
ma per sua esperienza seppe presto
chi erano Sandino e il Nicaragua:
tutto era tomba di ladroni biondi:
l'aria, l'albero, la strada, l'acqua
creavan guerriglieri di Sandino,
sorgevan fin dal wisky che stappavano,
si ammalavan di morte repentina
i gloriosi guerrieri di Luisiana
abituati a impiccare negri
mostrando un coraggio sovrumano:
duemila incappucciati tutti tesi
dietro un negro, una corda, sopra un ramo.
Qui le cose erano diverse:
Sandino assaliva e attendeva,
Sandino era la notte che scendeva,
luce del mare che li uccideva,
Sandino era una torre con bandiere,
Sandino era un fucile con speranza.
Ben diverse eran le lezioni,
a West Point era bella l'istruzione:
alla scuola nessuno insegnava
che poteva morire chi uccideva:
lì i nordamericani non appresero
che amiamo anche noi la nostra terra
e che difenderemo le bandiere
create con dolore e con amore.
Se non appreser questo a Filadelfia,
l'appresero col sangue in Nicaragua:
li attendeva il capitan del popolo:
Augusto C. Sandino si chiamava.
In questo canto resterà il suo nome
meraviglioso come una fiammata
perché dia luce a noi e dia fuoco
per continuar così le sue battaglie.

XI
II tradimento

In una notte triste per la pace
II Generai Sandino fu invitato
a pranzo, per far festa al suo valore,
con lui l'Ambasciatore " Americano "
(il nome tutto del nostro continente
questi filibustieri hanno usurpato).
Era felice il General Sandino:
tutto era vino e brindisi allora:
gli yanky ritornavano alla patria
alfin sconfitti desolatamente,
suggellava il banchetto con onori
la lotta di Sandino e i suoi fratelli.

A tavola aspettava l'assassino.
Era un oscuro tipo da postribolo,
alta levò la coppa molte volte
mentre nelle sue tasche risuonavano
i trenta orrendi dollari del crimine.
Oh banchetto dal vino insanguinato!
Oh notte, oh luna falsa nelle strade!
Oh stelle gialle senza la parola!
Oh terra muta e cieca della notte!
Terra che non trattenne il suo cavallo!
Notte di tradimento che lasciasti
la torre dell'onore in male mani!
Oh banchetto di soldi e d'agonia!
Ombra di tradimento predisposta!
Oh vessillo di luce che fioriva,
già fin d'allora vinto e abbrunato!

XII
La morte

Sandino si levò e non sapeva
che la vittoria era terminata
e che l'ambasciatore l'indicava
facendo la sua parte nel contratto:
era tutto disposto pel delitto
tra l'assassino e il nordamericano.
Sulla soglia mentre l'abbracciavano
lo salutarono e lo condannarono.
Alla buon'ora! E se n'andò Sandino
camminando col boia e con la morte.

XIII
Muore il traditore

Si chiamava Somoza il traditore,
il mercenario, il satrapa, il boia.
Ho detto si chiamava, perché un giorno
dal fulmine al muro fu inchiodato.
Il Nicaragua conosce i suoi martiri,
l'anima incatenata che ha serbato;
intanto che i corifei scrivevano,
di pancia penna e voce di mulo,
Paragonandolo a Dio e ai pianeti,
al roseo colore del crepuscolo
con mani di ladrone e dita torbide
strangolava Somoza la nazione.
Venne il valente Rigoberto López:
lo trovò che stava banchettando,
gli recise la vita con la raffica
d'un repentino lampo iracondo.
Cadde così l'Addome perforato
e riscattato fu l'onor defunto.
Mori l'eroe che recava il fuoco:
scavò il suo destino coi suoi pugni.
Fu seme della morte la sua impresa!
Ne onori il nome il cantico del mondo!

XIV
I dinasti

Dalla pancia caduta, tuttavia,
uscirono i Somoza piccolini:
due pagliacci macchiati di sangue:
del crudo rospo due fertili rospetti.
E appena imputridiva il purulento
si promuovevano i due generalini,
si misero ricami con diamanti,
si fecer presidenti vitalizi,
si divisero tutte le tenute,
si ritrassero come nuovi ricchi
e dell'Ambasciatore americano
divennero i guerrieri favoriti.
Così si fa la storia qui da noi:
si perpetuano così i delitti:
continua la catena dell'infame
e il pozzo militare dei suflizi.

XV
Vengo dal Sud

Son nato per cantar queste tristezze,
introdurre la luce tra le fiere,
col fulmine colpire la vergogna,
toccare le umane cicatrici.
Americano son di padre e madre,
son nato dalle ceneri araucane,
che quando l'invasore oro cercava
gli diè fuoco e dolore la mia patria.
In altre terre si vestiva d'oro:
là il conquistator non conquistava;
l'insaziabile Pedro de Valdivia
trovò laggiù quanto cercava:
sotto una magnolia ebbe fine,
oro fuso gli scese per la gola.
Io rappresento tribù che son cadute
difendendo bandiere beneamate,
e non rimase che silenzio e pioggia
dello splendore delle lor battaglie,
vo' continuando io le antiche gesta
e per tutta la terra americana
scuoto della mia gente i dolori,
incito le radici delle spade,
accarezzo il ricordo degli eroi,
irrigo sotterranee speranze,
a che mi servirebbe, allora, il canto,
della parola il dono, la bellezza,
se non perché con me la mia gente
di nuovo combattesse e camminasse?
Io vado per le Americhe oscure
e accendo le spighe e le lampade,
mi negan passaporto i tiranni,
ché la mia poesia li spaventa,
se mi chiudon le porte a catenaccio,
come la luce vo' per le finestre,
se accendon contro me i territori
vado pei fiumi, entro insieme all'acqua,
scende la mia poesia fino al carcere
a parlare con chi li m'attendeva,
con chi è nascosto sto a contar stelle
tutta la notte, parto alla mattina:
scogli del mare più non mi trattengono
e le mitragliatrici non mi colgono:
la mia poesia ha occhi d'aurora,
pugni di pietra, cuori con le ali.
Quando mi riconoscon nella strada,
in terreni di rame o di messi,
da treni che passano pel campo,
in piantagioni di dolcezza amara,
se mi salutano in remoti porti,
in miniere infernali sotterranee
è perché li passò la mia poesia,
la sua ruota d'amore e di vendetta,
a stabilir la chiarità del mondo,
a dare luce a chi l'attendeva,
avvicinando a chi lotta la vittoria,
dando la terra a chi la lavora.

XVI
In Guatemala

Come ai tempi di Sandino ho visto
in Guatemala fiorire la rosa,
difendere dei poveri le terre,
giunger a ogni bocca la giustizia.
Arbenz apriva tra la sua gente
la mano delicata e possente,
un granaio erano le scuole
di future cose vittoriose,
finché le lunghe unghie dal Canale
tagliarono la strada dell'amore.
I nordamericani incendiari
lasclaron cader dollari e bombe:
la morte stabilì il suo vestito,
sciolse l'United Fruit la sua corda.
Così fu assassinata Guatemala:
in pieno volo, come una colomba.

XVII
Nel Salvador la morte

Nel Salvador ancor ronza la morte.
Il sangue dei suoi morti contadini
non s'è seccato, non l'asciuga il tempo,
né lo cancella la pioggia nelle strade.
Quindicimila furon mitragliati.
Martinez si chiamava l'assassino.
Da quel momento han sapor di sangue
nel Salvador la terra, il pane, il vino.

XVIII
La libertà

Tesori del Caribe, schiuma insigne
su illustri azzurri sparsa,
coste fragranti che d'argento e d'oro
sembrano, dall'arena elaborate,
intenso arcipelago dei sogni,
regioni di sussurro e di fiammata,
castelli di palmizi naviganti,
montagne come pigne profumate,
sonore isole che del vento alla danza
giungeste come spose invitate,
razze color di notte e di legno,
occhi come le notti stellate,
statue che danzarono nei boschi
come le onde dal mare armate,
fianchi di zafferano che sostennero
il ritmo dell'amore sulla pergola,
seni oscuri come il fumo agreste
che sa di gelsomino nelle case,
chiome che ordite son dall'ombra,
sorrisi dalla luna edificati,
palmizi al vento abbandonati,
gente sonora come le chitarre,
povertà della costa e dell'isole,
uomini e bimbi senza terra, né cucchiaio
ragazze musicali che siete dirette
da un tamburo profondo dell'Africa,
oscuri eroi oh dei cafetales,
lavoratori duri della canna,
figli dell'acqua, padri dello zucchero,
atleti del petrolio e le banane.
Oh Caribe dai doni abbacinanti,
oh terra e mare macchiati di sangue,
oh Antille destinate al cielo,
dal Diavolo e dall'uomo maltrattate:
è giunta adesso l'ora delle ore:
l'ora dell'aurora dispiegata
e chi pretende annichilir la luce
con la vita recisa egli cadrà:
quando dico che è giunta l'ora
penso alla libertà riconquistata:
penso che a Cuba cresce una semente
mille volte amata e rispettata:
il seme della nostra dignità,
da tanto ormai ferita e calpestata,
cade nel solco ed escon le bandiere
della rivoluzione nostra americana.

XIX
A Fidel Castro

Fidel, Fidel, grazie ti danno i popoli,
parole in azione, fatti che cantano;
per questo da lontano t'ho recato
una coppa di vino della patria:
è il sangue d'un popolo sepolto
che arriva dall'ombra alla tua gola,
son minatori che vivono da secoli
traendo fuoco dalla terra gelida.
Van sotto il mare in cerca di carboni,
quando tornano son come fantasmi:
alla notte eterna sono abituati,
del giorno la luce gli han rubato,
e tuttavia qui tu hai la coppa
di tante sofferenze e distanze:
la gioia dell'uomo incarcerato,
di tenebre ricolmo e di speranze,
che sa nella miniera quando giunge
la Primavera e la sua fragranza,
perché egli sa che l'uomo sta lottando
per giungere alla chiarità più ampia.
vedono Cuba i marinai australi,
i tìgli solitari della pampa,
i pastori del freddo in Patagonia,
i padri dello stagno e dell'argento,
quei che sposati con la Cordigliera
traggono il rame da Chuquicamata,
gli uomini di autobus nascosti
in abitati puri di nostalgia,
le donne di campagna e della fabbrica,
i bimbi che piansero l'infanzia:
questa è la coppa, prendila, Fidel.
Essa è colma d'innumeri speranze:
saprai bevendo che la tua vittoria
è come il vecchio vino della patria:
non un uomo lo fa, ma molti uomini
e non un'uva, bensì molte piante:
non è una goccia, sono molti fiumi:
no un capitano, sì molte battaglie.
Sono con te perché tu rappresenti
tutto l'onore della lunga lotta
e se cadesse Cuba noi cadremmo,
essi verranno per risollevarla,
se fiorirà con tutti i suoi fiori
fiorirà della nostra stessa linfa.
Se mai osassero toccar la fronte
di Cuba dalle tue mani liberata,
troveranno dei popoli i pugni,
prenderemo le armi sotterrate:
il sangue e l'orgoglio accorreranno
a difendere Cuba beneamata.

XX
Tornando a Porto Povero

Mentre l'alloro sale alle vittorie
di Cuba e brilla per l'intero orbe,
una saetta mi trapassa l'alma
e torna a Portorico la mia ansia.
Porto Povero, perché tu non hai voce?
Ora che han cantato i nostri popoli,
perché come ferita d'improvviso
la catena mortal del tuo silenzio?
Quando la libertà è giunta a Cuba
tremarono al vento le bandiere,
ma ancora mancava una sorella:
mancavano i colori del tuo popolo.
Quando levò ogni nazione il canto
sorto dalla vittoria e dal dolore
ogni paese disse la sua strofa.
Tu abbassasti gli occhi in silenzio.
Muñoz Menzogna inviò il suo telegramma
d'accettazione tinto di paura,
ma la tua voce era incarcerata,
il tuo povero cuore prigioniero.
Il nordamericano pose il piede
sopra Muñoz e gli dettò un decreto
e sotto quel decreto e quei piedi
lo Stato Associato puzza a morto.
Il Muñoz Associato sale e scende
i corridoi del Dipartimento
offrendo a Portorico, poveretto,
una bara di dollari di sangue.
Povero Portorico Porto Povero
inchiodato coi chiodi del tormento
dai figli traditori che ti bucano
su una croce di dollari le ossa.
Annuncio, tuttavia, il nuovo giorno:
annuncio la venuta del tuo tempo:
cadranno i mercenari nella polvere
e s'incoronerà la sofferenza,
le dignità saran ristabilite,
la voce, il tuo pensiero stesso,
espellerai le insegne di Chicago,
la tua bandiera crescerà nel vento.

XXI
Gli imboscati

Par che questi giorni abbian riunito
contro Cuba menzogne e veleni,
li diffondon telegrammi giorno e notte
preparando l'assalto e il momento:
" Sembra che la chiesa non si fidi ";
" C'è a Cayo Benito uno scontento ";
" Fidel non è comparso il dì 28 ".
" Visión " riunisce nel suo ufficio infame
la gang di rinnegati e di deformi,
boliviani che leccano ogni dollaro,
che insultano le povere origini
crocifiggendo la fame di Bolivia
e concludendo ogni nostro regno;
insieme altri " latini " si riuniscono,
ugualmente venduti e sinistri
per mentire filando ogni giorno
contro Cuba le bave dell'inferno:
essi preparan solo questo intingolo.
In questo ristorante non comandano.
Solo aggiungono salsa alla calunnia,
la servono: son sguatteri e serventi.
Si prepara più lungi questo piatto,
che contiene altresì un bombardamento,
il massacro di bimbi e di donne,
altro Batista con un nome nuovo:
nulla è accaduto qui, è ciò che pensano.
" II resto si sistema col danaro ".
Però stavolta pagheran col sangue.
E non potranno vincere che i morti.

XXII
Così "è la mia vita"

I miei doveri vanno col mio canto:
sono e non sono: questo è il mio destino.
Non son se di chi soffre i dolori
non accompagno: son dolori miei.
Esser non posso se non son di tutti,
di tutti i silenziosi e gli oppressi,
vengo dal popolo e canto per il popolo:
la mia poesia è cantico e castigo.
Mi dicon: tu appartieni all'ombra.
Forse, chissà, ma alla luce io cammino.
L'uomo sono del pane e del pesce
e non mi troveranno in mezzo ai libri,
mi troveran con gli uomini e le donne:
essi m'hanno insegnato l'infinito.

XXIII
Per Venezuela

Venezuela ho amato, ma non c'era.
L'ho cercata tra i nomi che vivevano:
chiamai, chiamai, nessuno rispondeva,
quella sommersa patria non rispose
e tuttavia la mappa le concesse
gli smeraldi che ha la geografia,
le montagne con nivei uccelli,
azzurro fuoco tingeva le sue isole,
bruciava il petrolio i suoi fianchi
la sua camicia ricamava d'oro,
l'Orinoco era un'eterna lettera
scritta con caimani e notizie,
risuonava, alla fine, Venezuela
come una gran ferriera capitale,
con diamanti, arcate e tapiri
e respirava con Simón Bolivar
(mentre arrivava in Cile un signore
a farci pazzi con l'ortografia).
Ebbene pel mondo sono andato,
ho bussato a nemiche porte e amiche
e tutte le nazioni al loro posto
si sistemarono per la mia visita
come, piccino, le vidi nella mappa:
l'Asia verde, carnivora l'Inghilterra,
la Spagna inaugurava i suoi sepolcri,
Francia fragrante, appena vestita,
la Svizzera, orologio tra i pazzi,
la Germania provava artiglieria,
la Russia cambiò nome e cognome,
in Roma Dio alloggiava e soffriva,
nel frattempo cercando Venezuela
senza trovarla trascorsero i giorni
fino a che Picón Salas da Caracas
giunse a spiegarmi cosa succedeva.

XXIV
La Tigre

Gómez era il nome di quel vuoto
Gómez si chiamava quella morte.
In mezz'ora consegnò il petrolio
a nordamericani delinquenti
e procreò da allora a suo piacere.
Venezuela silenziosamente
affondò nell'oscuro delle carceri,
s'ammalò di prigioni e di febbri.
Quelli che furon poi i miei fratelli
andavan per le strade inclementi
scavando pietre e sopportando ceppi:
si sgranava l'ardente Venezuela.
Gabaldón mi contò come udiva
dalla sua cella morire un ribelle:
vivo se lo mangiarono i vermi,
e lui udiva gemere il parente,
né sapeva che stesse accadendo,
finché le grida brevi e crudeli
ebbero fine. Quello era il silenzio
di Venezuela: nessuno rispondeva.
Vivevan solo i vermi e la morte.

XXV
Peréz Jimenéz

La libertà con Medina Angarita
e il decoro con Rómulo Gallegos
passarono fugaci pel Venezuela
come uccelli d'altre terre nel lor volo
e tornarono le bestie del terrore
a sollevar le zampe ed i peli.
Li partorì la notte partoriente:
iI pipistrello fu Pérez Jiménez.
Era tondo di anima e di pancia
pestilente, ladrone e circonflesso,
un lucertolone grasso da palude
scimmia che rode, pappagallo obeso,
era un postribolare delinquente
un incrocio di rana e di granchio,
bastardo di Trujillo e di Somoza
procreato nello State Dipartimento
dei monopoli a solo uso interno,
dei quali fu soltanto stuoia gialla,
sottoprodotto ambiguo del petrolio
e vorace squalo dell'escremento;
questo rospo uscito dal pantano
tutto si dedicò al suo bilancio:
di fuori fu spalline e medaglie,
possedimenti e dollari di dentro,
l'ardito militare senza guerre
si promosse a gradi succolenti.
Fin qui è la commedia che descrivo
nel certame di ciò ch'è pittoresco,
ma egli fece schiava Venezuela
e quindi le applicò il tormento.
S'empì la sua cantina di dolori,
di rotte membra e di spezzate ossa
e di nuovo tornaron le prigioni
a popolarsi di chi è più onesto.
Tornò così il passato in Venezuela
a levare la frusta insanguinata,
fino a che per le strade di Caracas
i clacson si unirono nel vento,
si ruppero le mura del tiranno
e imperò la maestà del popolo.
Il resto divien nuovo e antico,
è la storia del nostro triste tempo:
verso Miami il maestoso satrapa
corse come sonnambulo coniglio:
lì ha palazzo e lì l'attendeva
il Mondo Libero, con le braccia aperte.

XXVI
Un democratico strano

Betancourt si sedè sulle speranze
di Venezuela come denso involto,
di fuori il signore è graduato
dentro opaco è come un formaggio:
assai da Presidente ha studiato
(per esser uomo non ebbe mai tempo).
Alfine a Nuova York gli dieder titoli
di specialista in leggi e governi,
raccomandato da Muñoz Marín
i gringos lo studiarono un momento
e lo depositarono a Caracas,
avvolto nelle sue conoscenze:
apprese inglese per ubbidir ordini,
in tutto fu compiuto e circospetto;
occhi e orecchi volti a Nordamerica
per il Venezuela cieco e sordo,
chiedeva a un sarto nordamericano
i pantaloni suoi ed i pensieri,
finché parlando con Voce del Padrone
dimenticò Venezuela e il popolo.
Cuba lo disturbava stranamente,
a causa di Fidel perdeva il sonno,
tutte queste riforme, dar la terra
a chi lavora era gran fastidio!
Dare la casa a tutti i cubani
è trasformare Cuba in un inferno!
Vender zucchero a quelli che lo compran
è un intollerabile ardimento!
Il poveretto così fu trasformato
in un triste Caino d'oggigiomo.
Fiorì in quel momento a Caracas
la rivolta di teneri fanciulli:
quegli studenti non mai sottomessi
si trincerarono nel lor scontento.
Betancourt, il guerriero, inviò i in fretta
la polizia e i suoi reggimenti,
i carri armati, gli aerei, i fucili
e mitragliò quei giovani indifesi,
davanti alle scuole tutte a lutto
in mezzo a lavagnone e a quaderni
il " nordamericano " democratico
lasciò dozzine di piccoli morti.
Nuovamente nel sangue Venezuela,
Erode Betancourt stette in silenzio.

XXVII
Gli uccelli del Caribe

In questo breve lampo senza uomini
a celebrar gli uccelli io invito,
il vencejo, veloce vela del vento,
l'abbacinante luce del tucusito,
il limpiacasa che biforca il cielo,
per il garrapatero più oscuro
finché la sostanza del crepuscolo
tesse il dolore dell'aguaitacaminos.
Oh uccelli, pietre preziose del Caribe,
quetzal, raggio nuziale del Paradiso,
gioiello dell'aria nel fogliame,
uccelli dal più giallo lampo
impastati con gocce di turchese
e con fuochi di nudi cataclismi:
venite al mio umano canto,
turpial dell'acqua, semplice pernice,
paraulatas dal miracoloso stile,
chocorocay in terra stabilito,
minimi danzatori d'oro e aria,
tintora ultravioletta, coda di filo,
gallo di roccia, uccello ombrello,
miei compagni, misteriosi amici,
come la piuma superò il fiore?
Maschera d'oro, carpentiere invitto,
che posso fare per cantare in mezzo
al Venezuela, presso i vostri nidi,
fulgori del semaforo celeste,
della rugiada Martin Pescatori,
se dell'estremo Sud io ho l'opaca
voce, quella d'un cuore cupo,
e non sono nell'acqua del Caribe
che una pietra dal freddo arrivata?
Che posso fare per cantare il canto
del piumaggio, la luce, la potenza
di ciò che incredulo vidi volare
o udii senza pensar d'averlo udito?
Perché gli aironi rossi m'incrociarono:
volavan come fosse un rosso fiume
e contro lo splender venezolano
del sole azzurro ch'ardeva nel zaffiro
si levò come eclisse la bellezza:
volarono dal rito questi uccelli.
Se tu del corocoro non hai visto
il carminio volar, sciame sospeso,
quando taglia la luce come falce
e vola scosso tutto quanto il cielo
e passano scarlatti i piumaggi
lasciando un lungo lampo rosso,
se non hai visto l'aria del Caribe
emetter sangue senza la ferita,
la bellezza non sai di questo mondo,
non conosci la terra su cui vivi.
Per questo io racconto, perciò canto,
e per gli uomini tutti vedo e vivo:
mio dovere è contar ciò che non sai
e ciò che sai racconterò con te:
vanno i tuoi occhi con le mie parole,
s'apron le mie parole nel frumento
e volano con l'ali del Caribe
o lottano con te contro i nemici.
Tanti sono, compagni, i miei doveri
che vado a un altro tema e vi saluto.

XXVIII
Tristi avvenimenti

Se Nuova York risplende come l'oro,
ha edifici con cinquecento bars,
lascerò scritto qui che furon fatti
con il sudore dei cañaverales:
il bananal è un inferno verde
perché si balli e beva a Nuova York.
A cinquemila metri, in alto,
vanno sputando sangue i cileni
per mandar rame a Nuova York,
cadono i boliviani per la fame
graffiando le caverne dello stagno,
rompendo le pareti delle Ande,
e l'Orinoco dalle sue radici
sgrana nel fango tutti i suoi diamanti.
per terra panamense che rubarono,
per acque che rubaron, van le navi
con il petrolio nostro a Nuova York,
recano gli strappati minerali
che con gran riverenza gli consegnan
i nostri decorati governanti.
Lo zucchero innalza le pareti,
il nitrato del Cile le città,
il caffè del Brasile compra letti,
il Paraguay gli dà Università,
da Colombia ricevono smeraldi,
da Portorico vanno alle battaglie
i soldati del popolo " associato ".
(In questo modo singolar combattono:
i nordamericani danno l'armi
ed i portoricani il loro sangue).

XXIX
Non chiedetemelo

Chiedono alcuni che il tema umano
coi nomi, i cognomi e i lamenti
non tratti nelle pagine dei libri,
non dia la scrittura dei miei versi:
dicon ch'è morta qui la poesia,
dicono alcuni che non devo farlo:
mi spiace in verità di scontentarli,
mi levo il cappello e li saluto,
li lascio a viaggiare nel Parnaso
come allegri topi nel formaggio.
Ad altra categoria io appartengo,
di carne e ossa sono solo un uomo,
per questo se bastonano il fratello
con ciò che ho a mano lo difendo,
ognuna delle mie righe ha in sé
pericolo di polvere o di ferro,
che ricadrà sopra gli inumani,
sopra i crudeli, sopra i superbi.
Il castigo della mia pace furiosa
non minaccia i poveri né i buoni:
cerco con la mia lampada chi cade,
lenisco le ferite e le chiudo:
questi sono gli uffici del poeta,
dell'aviatore, dello spaccapietre:
qualcosa occorre far su questa terra
perché ci han messo al mondo sul pianeta
e le cose bisogna sistemare
perché non siamo uccelli oppure cani.
Bene, se quanto odio attacco,
o quando canto tutti quanti amo
la poesia vuole abbandonare
le speranze del mio manifesto
continuo a osservare la mia legge
accumulando stelle e armamenti
e nel duro dovere americano
non m'importa una rosa più o meno:
ho un patto d'amor con la bellezza:
di sangue ho col mio popolo un patto.

XXX
Riunione della OEA

Se la diplomazia conosce o meno
è cosa che a nessuna interessa;
i suoi angoli ha però la scienza,
le selve congelate o infernali,
e ai giusti io aprirò gli occhi,
per insegnare ciò che tutti sanno
e mostrar fino a dove, riunendosi,
possono i nostri paesi disgregarsi
e solamente essere il mobilio
dove lo Zio Sam possa sedersi.
I nostri ambasciatori riuniti
un cuscino gli fan di molle seta
e per quel posteriore sacrosanto
l'Argentina designa i suoi armenti,
l'Ecuador i migliori guacamayos,
il Perù i guanacos ancestrali,
San Domingo manda i suoi nipoti,
i cognati e gli altri animali.
II Cile, original come nessuno,
a rappresentarlo allora manda
una bottiglia di vino senza vino,
un calamaio d'aceto senza inchiostro.
preparano così questi signori
le lunghe, ineffabili riunioni,
stanno l'uno sull'altro in equilibrio
con molto interessanti acrobazie
gareggiano per fare da sedile:
" Me almeno devon calpestare "
reclama il delegato di Colombia
scrivendo un sonetto e segnandosi,
mentre del Paraguay il delegato
con quel del Salvador, senza graffiarsi,
gli esclusivi sedili voglion essere
esprimendolo con motivi tali
che si commuovono tutti, senonché
in quello stesso punto del certame
arriva il capo Nordamericano:
sopra tutti si siede né fa caso
a chi era toccata precedenza;
subentra un silenzio stravagante.
Detta le decisioni il capo in fretta,
poi torna ai suoi uffici importanti.
Si rialzano i nostri ambasciatori,
si stirano le giacche eleganti,
è finita così la riunione.
Signori, la OEA ha i suoi difetti,
ma certo è deliziosamente unanime.

XXXI
Esplosione del " La Coubre " 1960

Mio tema è questa nave che arrivava
piena di munizioni e d'allegria:
il suo carico scoppiò all'Avana,
fu nel fuoco del mare l'agonia.
Furon due Eisenhower differenti
ad agire in questa compagnia,
uno che navigava sotto l'acqua,
l'altro che in Argentina sorrideva,
uno depositava l'esplosivo,
l'altro condecorava chi veniva,
uno stringeva il gancio del siluro,
l'altro in tutta l'America mentiva,
come polipo verde uno nuotava,
l'altro era più dolce d'una zia.
Questi due personaggi paralleli
capiron che la nostra geografia
la maneggian governi sradicati
che la sovranità abbandonarono:
per questi governanti Nordamerica
è una non sempre vuota cassaforte:
loro le danno tutto ciò che hanno:
con le speranze le dan la polizia,
e il Primo Eisenhower passeggia
per i viali e per i palazzi
senza vedere una persona vera:
solo feroci tigri da ufficio
che gli vogliono vender le bandiere,
ma in U.S.A. si sapeva ormai
che con Fidel occorre altra maniera:
quando vedono a Cuba i contadini
le lettere di luce finalmente,
e con la dignità che essi hanno
ricevono i libri e la terra;
il chiaro Eisenhower si toglie
la mascherina da persona buona,
in uomo rana si converte e nuota
verso la preda come i pescecani.
È allora che il " La Coubre " assassinato
si torce tra feriti e scintille:
coi francesi i cubani assassinare
per impedir che Cuba si difenda:
ma i sottomarini pistoleros
han perso questa volta il loro frutto
non riusciranno infatti a uccider Cuba:
vivrà, noi lo giuriamo, questa stella:
lotterem per la sua rivoluzione
fino alla mano ultima che tiri
l'ultima pietra, difendendo onore.

XXXII
Americhe

Viva Colombia bella e abbrunata
e l'Ecuador dal fuoco coronato,
il piccol Paraguay viva, ferito
e da eroi ignudi ora risorto,
oh Venezuela, canti sulla mappa
con tutto il cielo azzurro in movimento
e di Bolivia i selvaggi monti
gli occhi indî e la luce canto:
io so che qui e là chi è caduto
difendendo l'onore fu il popolo;
fin le radici della terra amo
dal Rio Grande al Polo cileno,
non solo perché son disseminate
le nostre ossa nella lunga lotta,
ma perché amo ogni povera porta
e ogni mano del profondo popolo,
non esiste bellezza come questa
dell'America stesa nei suoi inferni,
nei suoi monti di pietra e di potere
nei suoi fiumi atavici ed eterni,
io t'amo negli spazi più nascosti
delle città ch'hanno odor di sterco,
nei treni dell'alba vacillante,
nei mercati e anche nei macelli
negli elettrici fiori nati a Santos,
nella cruda armatura dei tuoi granchi,
nella miniera ormai decapitata,
nei tuoi poveri ebbri turbolenti:
ti die' tutta la neve il pianeta,
immense acque e vulcani nuovi,
l'uomo vi aggiunse poi le sue mura
e dentro quelle mura sofferenza,
io batto per amore i tuoi fianchi:
ricevimi come se fossi il vento.
Ti porto con il canto palpitante
un amor che non può esser contento,
delle campane la fecondazione,
la giustizia che i popoli attendono.
Chieder molto non è, abbiamo tanto,
e tuttavia sì poco noi abbiamo
che questa cosa non può continuare:
il mio canto, ciò che chiedo, è questo:
perché non chiedo nulla, chiedo tutto,
tutto io chiedo per la nostra gente;
il triste presuntuoso si offenda,
dietro una nomina egli va impazzendo,
proseguo e m'accompagnan due ragioni:
il cuore mio e la mia sofferenza.

XXXIII
Storia di un canale

La geografia, Panamá, ti ha dato
un dono quale a nessuna terra:
due mani avanzarono al tuo incontro:
s'assottigliò la cordigliera pura:
non un mare ti die', ti diede l'acque
di due imperatori delle schiume
e ti bacia l'Atlantico con labbra
che sono abituate a baciar l'uve,
intanto il Pacifico in tuo onore
scuote la sua ciclonica statura.
Piccola Panamá, mia sorellina,
i primi dubbi mi assalgon ora,
te li dirò all'orecchio perché credo
che in silenzio si dica l'amarezza.
Che accadde? Sorellina han ritagliato
come fosse formaggio il tuo contorno,
poi t'han mangiato e lì hanno lasciato
il nocciolino roso dell'oliva.
L'ho saputo più tardi, era fatto
il canale qual fiume della luna:
lì sarebbe arrivato tutto il mondo
a sparger sulla sabbia la fortuna,
ma alcuni signori a te stranieri
installarono in te le armature
e altro non diffusero che whisky
dacché ipotecarono la tua cintura:
tutto prosegue poi secondo i piani
di Satanasso e delle sue imposture:
col danaro hanno fatto il canela,
col tuo sangue scavarono la terra
e ora a New York mandano i dollari
mentre lasciano a te le sepolture.

XXXIV
Futuro di un canale

L'acqua passa in te come un coltello
e divide l'amore in due metà
con un freddo di dollari ficcati
fino all'impugnatura nei tuoi panni:
ti dichiaro le pene che io sento,
s'altri non vedon le calamità,
penso che son perduto e ho bevuto
troppe bottiglie dentro i tuoi bars,
ma queste costruzioni, questi laghi,
queste azzurre acque di due mari
esser non devon la spada che divide
il felice da chi è miserabile,
dovrebb'esser la porta questa schiuma
dell'unione di due mondi nuziali:
una piccola strada costruita
per gli uomini, non pei caimani,
per l'amore, non per il danaro,
non per l'odio, invece per il pane,
bisogna dire che a te appartiene
questo canale, tutti i canali
che sul tuo territorio si faranno:
essi sono le sacre tue sorgenti.
La sorgente del mar che ti circonda
tua è, una vena del tuo sangue;
i vampiri che voglion divorarla
devon far le valige e partire:
solo la tua bandiera di naviglio
deve muoversi al vento della sera:
il vento panamense che domanda
come un bimbo che perse sua madre
dove sta la bandiera della patria.
Sta attendendo. Il Panamá lo sa.
E lo sappiamo noi americani
dalla Patagonia al Rio Grande.
Una sola bandiera sul canale
deve muovere il petalo fragrante,
non può esser bandiera di pirati
ma una rosa in più del nostro sangue:
del Panamá il suo puro vessillo
presiederà la strada delle navi.

XXXV
La stampa " libera "

Voglio contare in brivido assai breve
senza rancore, piuttosto con gioia,
come dal mio letto a Buenos Aires
mi condusse in prigion la polizia.
Era tardi, dal Cile si veniva
e senza dirci sola una parola
saccheggiaron le carte dell'amico,
offesero la casa in cui dormivo.
Mia moglie scintillava di disprezzo,
ma eran ordini che si ubbidivano
e su un'auto ambulante percorremmo
la notte nera della tirannia.
Perón non era allora, era un altro,
un nuovo capoccione d'Argentina;
s'aprirono le porte al suo comando,
erano chiavistelli, che s'aprivano
per inghiottirmi, cortili passavamo
ben quaranta cancelli, poi l'infermeria,
mi fecero salire in una cella
tra le più impenetrabili e nascoste:
lì solo si credettero protetti
dai vapori della mia poesia.
Seppi attraverso quella notte rotta
che tremila ne chiusero quel giorno:
carcere, penitenziario, e fosse poco
navi che per il mare alla deriva
s'empirono di uomini e di donne,
orgoglio delle anime argentine.
Solo fin qui arriva la mia storia:
il resto è una storia collettiva:
perché leggerla volli sul giornale,
su " La Prensa " (così informativa)
ma il signor Gaínza Paz non sa
se empiono le carceri argentine:
è il campione della stampa “libera",
ma se chiudon giornali comunisti
il padre della patria non lo scrive,
s'ammala della scarpa e della vista;
se finissero in carcer gli operai
tutti lo sanno, non lo sa Gaínza,
tutti ricorrono ai giornali, ma
i “grandi" giornali nulla pubblicano
dì queste stupide storie senza senso;
" La Prensa " era molto preoccupata
per l'ultimo divorzio che facevano
a Hollywood gli assi del cinema;
mentre vengono chiusi sindacati
" La Prensa " e “ La Nación " son metafisiche.
Ahi che silenzio, questa stampa pazza,
quando riceve il popolo il bastone,
se a Cuba invece cade fucilato
uno degli sciacalli di Batista
le imprese di questa triste America
confezionano e stampano salcicce,
si portano le mani alle tempie,
allora sì che supplicano e sanno,
si riunisce la Sip, la Sap, la Sep,
per salvar le vestali in pericolo
e correndo alla Borsa di New York
chiedono con la più gran fretta
degli stimoli contanti e sonanti;
per la " libertà " ch'essi proteggono.
Pullulano in America Latina
questi palmipedi davvero indecorosi,
si bacian con Chamudes a Santiago,
Giuda Ravines li attende a Lima
ed arricchiti quindi ed entusiasti
per questa libertà che si respira
suona da Washington un rock and roll
e ballan tutti con Dubois e Gaínza.

XXXVI
Ballando coi negri

Negri del continente, al Nuovo Mondo
avete dato il sapore che mancava:
i tamburi non respiran senza negri
senza di loro non suonan le chitarre.
Immota stava questa verde America
finché come una palma essa si mosse
allor che nacque da una coppia negra
del sangue il ballo e insieme la grazia.
E dopo tante miserie aver sofferto
e aver tagliato fino a morir la caña
e curato i maiali là nel bosco
e portato le pietre più pesanti
e lavato piramidi di panni
e aver salito carichi le scale
e partorito soli nella strada
e non aver né piatto né cucchiaio
e riscosso più busse che salario
e sofferto venduta la sorella
e macinato farina tutto il giorno
e mangiato un sol giorno a settimana
e corso sempre come un cavallo
distribuendo casse di ciabatte
maneggiando la scopa e la sega
scavando le case e le montagne,
coricarsi, ormai stanchi, con la morte
e vivere di nuovo ogni mattina
cantando come nessuno canterebbe,
cantando con il corpo e con l'anima.
Cuor mio, quando dico questo
mi si sparte la vita, la parola,
continuare non posso, preferisco
andare con le palme africane
madrine della musica terrestre
che adesso m'incita dalla finestra:
me ne vado a ballare per le strade
coi miei fratelli negri dell'Avana.

XXXVII
Sparisce un professore

A Nuova York sopra false gardenie
corre perduto odore dì formaggio:
da 42 fino a Long Island
tutte le cose ricoprì l'inverno,
tremava l'aula delle lezioni
di calor repentino e freddo morto.
Uscì da lì l'amico tutto avvolto
d'un'aria amara come il suo esilio,
ma l'Urbe Nordamericana ormai
l'avvolgeva nel suo vestito nuovo
e credette che avrebbe dato sfogo
alla parte ancestral dei suoi ricordi.
Galíndez si chiamava il professore
e quella notte se n'andò all'inferno.
Gli diedero un colpo sulla testa
e lo portarono senza conoscenza
attraverso la notte delle strade,
degli abbandonati aeroporti
fino a San Domingo, dove regna,
pallido ruffian dal volto vecchio,
una satanica scimmia sostenuta
in quel posto da State Dipartimento.
Fino al trono condussero legato
il professore con i suoi ricordi,
non si sa s'egli vivo fu bruciato
o scorticato con lavoro lento,
o diviso in piccoli pozzetti,
o cotto con il sangue d'altri morti,
ma davanti alla Corte riunita
fu dato al professore il tormento.
In quel luogo pagarono il pilota
(naturalmente un nordamericano);
il satrapa a San Domingo regna.
Continua a Nuova York l'inverno.

XXXVIII
Gli eroi

In questa nave di pozza insanguinata
molti furon feriti e son caduti:
li inghiottì l'abisso sventurato
con le torture e i suoi prigionieri.
Ci son per la fortezza dei crudeli
a Washington pallottole e danaro;
il figlio di Trujillo è un vagheggino
per Hollywood, è tutto un signore.
Ma gli studenti ch'uniti contro il male
sparano, solitari o dispersi,
non troveranno asilo in Ambasciata,
né alcuna nave troveran nel porto,
né aereo che porti in altro luogo,
solo dove attendono tormenti.
Gli negheranno il visto a Nuova York
con i più convincenti argomenti,
Finché il giovane eroe clandestino
viene poi denunciato e scoperto:
nell'orbite non gli lasceranno occhi,
gli spezzeranno l'ossa una a una.
E poi si pavoneggiano all'ONU
per questo Mondo Libero che abbiamo;
parla il Ministro Nordamericano
dando a Trujillo nuovi armamenti.
È una storia tremenda, se sofferto
avete, perdonate, non mi spiace.
I malvagi si perpetuano in tal modo:
questa è la realtà, ed io non mento.

XXXIX
Al nordamericano amico

Uomo del Nord, tu nordamericano,
mietitore industriale delle mele
semplice come un pino in un pineto,
abete geografico d'Alaska,
yanky dei villaggi e delle fabbriche
con moglie, con doveri e con figli,
ingegneri fecondi che lavorate
nella selva immutabile dei numeri,
nell'orologeria delle fabbriche,
oh ampi operai, alti e curvi
tra le ruote e pur sopra le fiamme,
strazianti poeti che avete persa
di Whitman la fede nella razza umana,
voglio che ciò che amo e ciò che odio
stia con chiarezza nelle mie parole:
il mio rimprovero solo contro voi
per un silenzio che non dice nulla:
non sappiamo piuttosto cosa meditino
nella lor casa i nordamericani,
della famiglia comprendiamo il miele;
ma amiamo anche noi la fiamma;
se qualcosa succede in questo mondo
condivider vogliam l'insegnamento
e troviamo che due o tre persone
chiudon le porte nordamericane
e s'ode sol la " Voice of America "
ch'è come udire una gallina strana.
Ma per il resto io qui innalzo
le prodezze di oggi e di domani;
penso che il Satellite in ritardo
che un mattino avete collocato
è salutare per qualunque orgoglio:
perché star sempre nella prima sala?
In questo campionato della vita
restò per sempre indietro l'arroganza:
possiamo andar così insieme al sole,
e bere vino dalla stessa brocca.
Americani, voi ci siete uguali,
escludervi da nulla non vogliamo,
solo vogliamo conservare il nostro,
c'è molto spazio per le nostre anime
e senza alcun sopruso possiam vivere
con sottosviluppata simpatia
fino a che con franchezza ci diciamo
fin dove arriveremo, faccia a faccia.
Il mondo sta cambiando e non crediamo
che si vinca con bomba e con spada.
Su questa base noi ci intenderemo
senza che voi soffriate mai per nulla:
il petrolio non vi sfrutteremo,
non metteremo mano alle dogane,
non venderemo l'energia elettrica
ai villaggi nordamericani:
siamo gente pacifica che può
contentarsi del poco che guadagna,
Sottometter nessuno non vogliamo
alla cupidigia delle circostanze.
Di Lincoln lo spazio rispettiamo,
la coscienza chiara di Paul Robeson.
T'imparammo ad amar con Charlie Chaplin
(la sua autorità fu mal pagata).
E tante cose ancor, la geografia
che alla terra ansiata ci unisce,
tutto mi spinge a dire nuovamente
che navighiamo nella stessa barca:
con l'orgoglio potrebbe affondare:
di pane e di mele carichiamola,
empiamola di bianchi e di negri,
di comprensione e anche di speranza.

XL
Domani in tutto il Caribe

Giovani puri del mare insanguinato,
giovani comunisti di questo giorno:
sempre più voi sarete, per pulire
il territorio dalle tirannie,
e potremo un giorno incontrarci,
e con la libertà la mia poesia
ritornerà a cantare tra di voi.
Compagni, attendo questa gioia.

XLI
Un minuto cantando per la Sierra Maestra

Se un silenzio si chiede a salutare
i nostri che ritornano alla terra,
un minuto sonoro chiederò,
tutta la voce d'America una volta,
solo un minuto di profondo canto
chiedo in onore di Sierra Maestra.
Dimentichiamo gli uomini per ora:
onoriamo tra tante questa terra
che tenne nel suo monte misterioso
la scintilla che accese il prato.
Io celebro i bruschi pergolati,
il dormitorio duro delle pietre,
la notte di rumori indecisi
con tutto il palpitare delle stelle,
delle montagne il nudo silenzio,
d'un popolo l'enigma, che non ha bandiere:
fino a che tutto incominciò a battere
e poi s'accese come una fiammata.
Scesero invincibili i barbuti
a stabilir la pace sulla terra,
e ora tutto è chiaro, ma allora
tutto era oscuro in Sierra Maestra:
chiedo per questo un minuto unanime
per cantare la Canzon di Gesta
e con queste parole io inizio
perché sian ripetute neIl’America:
" Aprite gli occhi popoli offesi,
in ogni parte c'è Sierra Maestra ".

XLII
Scritto nell'anno 2000

Voglio parlare con le ultime stelle
ora, alto su questo monte umano,
son solo con la notte amica
e un cuore dagli anni consumato:
A queste solitudini da lungi venni,
al sonno sovrano io ho diritto,
diritto di dormire a occhi aperti
tra gli occhi di tanti affaticati,
e mentre dorme l'uomo e la tribù,
quando si sono chiusi tutti gli occhi,
i popoli sommersi dalla notte,
il cielo di roseti costellati,
lascio che il tempo corra sul mio volto
come aria oscura o cuore bagnato
e vedo ciò che viene e ciò che nasce,
i dolori che furono sconfitti,
le povere speranze del mio popolo:
i bimbi nella scuola con le scarpe,
il pane e la giustizia ripartiti
qual nell'estate si concede il sole.
La semplicità vedo cresciuta,
la purezza dell'uomo col suo aratro
e tra l'agricoltura vado e tomo
senza trovare immensi possidenti.
Sì facile è la luce, ma non c'era:
appariva l'amore si lontano:
stette sempre vicina la ragione:
gli smarriti eravam noialtri,
credevamo in un mondo triste
pieno d'imperatori e di soldati
quando vedemmo che all'improvviso
crudi e cattivi per sempre se n'andarono
e tutto il mondo restò poi tranquillo
nella casa, in strada, a lavorare.
E ora si sa ormai che non è bene
che la terra stia in poche mani,
non c'è bisogno di andar correndo
tra governatori e tribunali sempre.
La pace com'è semplice e difficile
assalirsi con pietre e con bastoni
tutti i giorni e tutte le notti,
come se più non fossimo cristiani.

Alta è la notte e pura come pietra
e col suo freddo tocca il mio costato
come dicendo di dormire presto,
che sono i miei lavori terminati.
Con le stelle però devo parlare,
parlare in un idioma oscuro e chiaro
e con la notte stessa conversare
qual sorella e fratello solamente.
M'avvolge con fragranza assai potente
e mi tocca la notte, le due mani:
io m'accorgo che sono quel notturno
che lasciai dietro, nel tempo lontano,
quando la primavera studentesca
batteva nel vestito provinciale.
Tutto l'amore di quel tempo perso,
il dolor dell'aroma ormai strappato,
il color della strada incenerita,
il cielo inestinguibile di certe mani!
E poi quei climi divoranti
dove fu divorato il mio cuore,
i navigli fuggenti senza rotta,
i paesi oscuri o sottili,
quella febbre che ebbi in Birmania
e quell'amore che fu crocifisso.

Son solo un uomo e porto i miei castighi
come qualsiasi mortale addolorato
d'amare, amare, amare senza amore
e non amare essendo stato amato.
Le ceneri risorgon d'una notte,
vicino al mare, sopra un fiume sacro,
e un oscuro cadavere di donna
che ardeva in un braciere abbandonato:
dalla foresta l'Irrawadhy muove
le sue acque e la luce come squalo.
I pescatori di Ceylon che innalzavano
tutto il mare con me ed i suoi pesci
e le reti che tutte gocciolavano
miracolosi pesci di velluto rosso
mentre gli elefanti attendevano
un frutto, che gli dessi con le mani.
Ah quanto tempo sopra le mie guance
s'accumulò come orologio opaco
che trascina nel fragil movimento
un filo lungo interminabilmente:
con un bimbo che piange esso inizia,
finisce in un viandante con un sacco!
Venne poi la guerra, i suoi dolori,
e mi toccano gli occhi e mi cercano,
nella notte, di Spagna i suoi morti;
li cerco e non mi vedon, tuttavia
i lor splendori spenti io scorgo:
Don Antonio morir senza speranza,
Miguel Hemández morto in prigione
e il triste Federico assassinato
da quei medioevali malfattori,
dall'infedel caterva dei Paneros:
dagli assassini degli usignoli.

Ahi tanta, tanta ombra e tanto sangue
mi chiaman questa notte col mio nome:
ora con ali gelide mi toccano
e il lor martirio enorme mi segnalano:
nessun li ha vendicati, e me lo chiedono.
Sol la mia tenerezza li conosce.

Ahi quanta notte sta in una notte,
né la celeste coppa mai trabocca,
suona il silenzio delle lontananze
come un'inaccessibile conchiglia
cadon le stelle nelle mie mani
ancor piene di musica e d'ombra.
In questo spazio il tumultuoso peso
della mia vita non vince né singhiozza,
saluto il dolor che mi fa visita,
come se salutassi una colomba:
se son da fare i conti occorre farli
con ciò che poi verrà e che s'affaccia,
con la felicità di tutto il mondo,
non con ciò che si consuma il tempo.
Qui nel cielo di Sierra Maestra
io solo giungo a salutar l'aurora
perché s'è fatto tardi nei miei fatti,
m'è passata la vita in tante cose,
che lascio i miei lavori ad altre mani,
la mia canzone canterà altra bocca.
In questo modo il giorno s'incatena,
sempre a fiorir continuerà la rosa.

Non si trattiene l'uomo sulla strada:
un altro prende l'armi misteriose:
fine non ha la primavera umana,
dall'inverno è uscita la farfalla,
era molto più fragile d'un fiore,
per questo la bellezza non riposa
si muovon le sue ali; colorate
con una matematica radiosa.
Un uomo costruì solo una porta,
dal mare non recò che una goccia,
finché da una vita a un'altra vita
innalzeremo la città felice
con le braccia di chi ora è morto,
con le mani che ora non son nate.

Questa è l'unità cui arriveremo:
la luce dall'ombra organizzata
dalla continuità dei desideri
e il tempo che cammina per le ore,
finché tutti saranno ormai contenti.
Così la Storia comincia nuovamente.
Sull'altezza, così, di questi monti,
lungi dal Cile e dalle cordigliere
ricevo il mio passato in una coppa
e la sollevo alla terra intera.
Benché la mia patria sia nel sangue
senza che mai si spenga la sua corsa
in quest'ora la ragion notturna
segnala in Cuba la comun bandiera
dell'emisfero oscuro che attendeva
una vittoria vera finalmente.
La lascio custodita sulla vetta,
alta, ondeggiante sulle praterie,
indicando ai popoli oppressi
la dignità ch'è nata dalla lotta:
Cuba è un chiaro albero che scorgono
attraverso le tenebre e lo spazio,
come se esso fosse nato in centro
al mar Caribe e alle antiche pene:
si vede il suo fogliame d'ogni parte
i suoi semi vanno sotto terra
nell'America oscura innalzando
l'edificio della primavera.

XLII
Giudizio finale

Si ha nella durata dei dolori
una soffocazione, un frattempo
che ci porta e ci provoca dei timori
fino a riempire la coppa dello spavento (orrore),
c’è in quello che fa l’uomo e nelle sue vittorie
un ramo di pura delusione
e questa cresce senza uccelli né petali:
non la bagna la pioggia ma il pianto.

Questo libro, primo tra i libri
che propagarono la intenzione cubana,
questa Canzone di gesta che non ebbe
altro destino tranne la speranza
fu aggredito da tristi scrittori
che in Cuba mai liberarono nulla
tranne i loro presupposti difesi
per la giacca rivoluzionaria.

Ne conobbi uno, cinico negro,
mascherato fino alla fine da compagno:
questo di cabaret in cabaret
vinse a Parigi le ultime battaglie
per arrivar impassibile come sempre
a riportare i suoi allori all’Avana.

E un altro conobbi neutrale eterno,
che fuggendo dai nazisti come un topo
se ne stette silenzioso come un eroe
quando era la sua voce più necessaria.

E un altro tanto RETAMAR che spogliato
del suo FERNANDEZ già non vale nulla
tranne quello che costa ai cubani
vendere elogi e comprare fama.
Ahi Cuba! il tuo fulgore di stella dura
lo difende il tuo popolo con le sue armi!

Mentre Miami propaga i suoi vermi
i tuoi propri scrittori ti indebolivano
e uno che dà conto delle cose
e partecipa alla comune battaglia
distingue quelli che lottano fronte a fronte
contro l’ira nordamericana
da quelli che gettano inchiostro sul suo popolo
disonorando la scintilla solitaria.

Ma sappiamo che attraverso il tempo
all’invidia che scrive mascherata
le cade il suo volto di combattente
e le si vede la pelle diminuita,
le si vede la bugia nella statura
e le si vedono le mani mercenarie.

In questa ora noi vedremo tutti.

E da adesso tocco le campane
per il Giudizio Finale della coscienza.

Io arriverò con la mia coscienza pulita.

Io arriverò con la canzone che possiedo:
con quello che il mio partito mi insegnò:
arriverò con gli stessi occhi lenti,
la stessa voce, e con lo stesso aspetto,
a difendere davanti all’insulto morto,
Cuba, il tuo gesto rivoluzionario.




Note - Canzone di Gesta

II
Muñoz Marín: presidente dello Stato Libero Associato (agli U.S.A.) di Portorico.

IlI
Sandino Augusto: generale e comandante guerrigliero che tra il 1924 e il 1928 si oppose, in Nicaragua, alla politica colonialista degli Stati Uniti. Fu ucciso a tradimento, sembra da Anastasio Somoza.
Rubén Darío (1867-1916): poeta nicaraguense, una delle più alte espressioni della corrente modernista, che rinnovò tutta la poesia di lingua spagnola.
Trujillo: Rafael Leónidas; presidente e dittatore di San Domingo, dal 1930 al 1965 circa, con l'appoggio degli Stati Uniti.

IV
Fidel Castro: capo del movimento di liberazione di Cuba dalla dittatura di Batista.

V
sierra: catena di monti; dalla Sierra Maestra, a Cuba, parti la rivoluzione di Fidel Castro.
cañaveral: piantagione di canna da zucchero.

VI
Martí: José (1853-1895); poeta e scrittore cubano, uomo politico di primo piano nella lotta per l'indipendenza di Cuba dalla Spagna. Morì fucilato dagli spagnoli in un tentativo di sbarco sul territorio dell'isola.

VII
le torri del pianeta: i grattacieli delle città nordamericane.
cafetales: piantagioni di caffè.
i trujillos: dal dittatore di San Domingo, Trujillo; equivale a " i dittatori ".

VIII
Batista; Fulgencio; dittatore di Cuba, abbattuto dalla rivoluzione castrista.
Ubico: Jorge; dittatore del Guatemala, a partire dal 1930.

X
yanky: spregiativamente per " nordamericano ".
duemila incappucciati; allusione alla setta statunitense del K.K.K.
West Point: scuola di guerra degli Stati Uniti.

XIII
Somoza: Anastasio; dittatore del Nicaragua alla morte di Sandino.
Rigoberto López: uccisore del generale Somoza, dittatore nicaraguense.

XV
Valdivia, Pedro de: conquistatore spagnolo, guidò la spedizione contro gli araucani.

XVI .
Arbenz: Jacobo; presidente democratico del Guatemala, iniziò la riforma agraria; fu abbattuto nel 1954 da Castillo Armas, aiutato dagli americani e dalla " United Fruit Co. " che vedeva minacciati i propri interessi dalle riforme.
United Fruit: potente compagnia statunitense, dominatrice dell'economia dei paesi centro-americani, in particolare del Guatemala.

XX
Dipartimento: Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

XXII
Bolívar: Simón (1783-1830); il " Liberatore ", animatore e guida del movimento d'indipendenza del Sudamerica dalla Spagna.
arriva in Cile un signore: il filologo e poeta venezolano Andrés Bello (1781-1865) chiamato in Cile, alla raggiunta indipendenza dalla Spagna, per ordinarne gli studi superiori e la legislazione.
Picón Salas: Mariano; letterato e uomo politico venezolano.

XXIV
Gómez: Juan Vicente; dittatote del Venezuela dal 1909 alla morte.

XXV
Medina Angarita: Isaias; generale venezolano, erede, con il generale Contreras, del potete, in Venezuela, alla morte di Gómez.
Rómulo Gallegos: (1884-1969) narratore venezolano e uomo politico; fu presidente della repubblica per pochi mesi e abbattuto da un " golpe " ordito da Pérez Jiménez.
Pérez Jiménez: generale venezolano, autore del colpo di stato contro Rómulo Gallegos nel 1948, poi dittatore fino al 1958.

XXVI
Betancourt: Rómulo; presidente del Venezuela dopo Pérez Jiménez, capo del Partito di Azione Democratica; iniziò timide riforme appoggiandosi all'esercito.
gringos: termine spregiativo, per " americani del nord ".

XXVII
vencejo: rondone.
tucusito: colibrì.
limpiacasa: " pulisci casa ", uccello venezolano.
garrapatero: " crotofaga "; uccello.
aguaitacaminos: uccello simile al nottolone.
quetzal: uccello rampicante, oggi rarissimo, dalle splendide penne colorate; sacro presso gli aztechi e i mava, è simbolo della libertà.
turpial: ittero.
paraulata: tordo cinereo.
chocorocay: uccello venezolano.
tintora: idem.
corocoro: trampoliere rosso scuro.
bananal: piantagione di banane.

XXX
Zio Sam: gli Stati Uniti.
guacamayos: ara, grosso pappagallo dai colori brillanti.
guanacos: guanaco, ruminante.
OEA: Organizzazione degli Stati Americani (Organización Estados Americanos).

XXXI
Eisenhower: Presidente degli Stati Uniti nel secondo dopoguerra; generale, fu uno dei maggiori protagonisti della vittoria alleata.
pistoleros: qui per " banditi ".
Gaíza Paz: probabilmente il direttore della " Prensa ".

XXXVI
caña: canna da zucchero.

XXXVII
Galindez: Jesùs de; professore spagnolo, fatto rapire a New York da Trujillo, dittatore di San Domingo, fatto portare nell'isola e poi assassinato, perché colpevole di aver scritto contro il regime.

XXXIX
Whitman: Walt (1819-1892); poeta statunitense, cantore della democrazia, della fratellanza e della natura. Influenzò anche Neruda.
Lincoln: Abramo; uomo politico statunitense, presidente dell'Unione, abolì la schiavitù, vincendo la guerra contro gli stati del sud, nel 1863; fu assassinato da un fanatico schiavista.

XLII
quei climi divoranti: allude alla residenza in Asia, la cui esperienza, fondamentale per Neruda, si manifesta nelle Residencias en la tierra ed è ricordata poi in numerosi momenti della sua opera successiva.
un oscuro cadavere di donna: si riferisce alla donna che vide bruciare durante il soggiorno in Asia, episodio alluso per la prima volta in " Etierro en el Este " della prima Residencia.
Don Antonio: Antonio Machado (1875-1939), poeta spagnolo tra i più importanti del novecento, morto in esilio in Francia.
Miguel Hernández: (1910-1942), poeta spagnolo; repubblicano, morì in carcere.
Federico: Federico García Lorca (1898-1936); poeta spagnolo; morì assassinato agli inizi della guerra civile.
Paneros: i fratelli Panero, poeti spagnoli da alcuni ritenuti responsabili della morte di Lorca, che presso di loro cercò rifugio, a Granada


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