- 1926 - L'abitante e la sua speranza - Pablo Neruda - Popol Vuh - Insetti

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- 1926 - L'abitante e la sua speranza

 
Prologo dell’autore
 
Ho scritto questo racconto dietro richiesta del mio editore. Non mi interessa narrare cosa alcuna. Per me è dura fatica. Per ognuno che abbia coscienza di ciò che è meglio, ogni lavoro è sempre difficile. Io ho sempre una predilezione per le buone idee, e benché la letteratura non si presenti con grandi vacillazioni e dubbi, preferisco non far nulla a scrivere ballabili o divertimenti.
Ho un concetto drammatico della vita, e romantico; non mi corrisponde ciò che non giunge profondamente alla mia sensibilità.
Per me è molto difficile alleare questa costante del mio spirito con una espressione più o meno propria. Nel mio secondo libro, Venti poesie d’amore e una canzone disperata, provai già qualcosa come una fatica trionfante. La gioia di bastare e se stessi non la possono conoscere gli equilibrati imbecilli che costituiscono una parte della nostra vita letteraria.
Come cittadino, sono un uomo tranquillo, nemico delle leggi, dei governi e delle istituzioni vigenti. Provo repulsione per ciò che è borghese, e mi piace la vita della gente inquieta e insoddisfatta, siano questi artisti o criminali.
                                                                                                                      PABLO NERUDA
 
 
I
 
            Orbene, la mia casa è l'ultima di Cantalao e sta di fronte al mare strepitoso, incastrato tra i monti.
            L'estate è dolce, come in letargo, ma l'inverno sorge d'improvviso dal mare, come una rete di pesci sinistri, che si appiccichino a! cielo, ammucchiandosi, saltando, gocciolando, lamentandosi. Il vento produce i suoi sterili rumori, diversi a seconda che corrano fischiando sui fili del telegrafo o facciano mulinare le loro boleadoras (1) sopra i casolari o vengano dal mare-oceano arrotolando la loro corda infinita.
            Sono stato spesso solo nella mia casa, mentre il temporale sferzava la costa. Sono tranquillo perché non ho paura della morte e non ho passioni, ma mi piace vedere il mattino che quasi sempre sorge limpido e splendente. Allora non è raro che mi sieda su un tronco a osservare fino al più remoto orizzonte l'acqua immensa, respirando l'aria libera, osservando ogni carro che passa in direzione dal villaggio, con commercianti, indios, operai e viaggiatori. Una specie di forza di speranza penetra nel mio modo di vivere quel giorno, un modo superiore all'indolenza, esattamente superiore alla mia indolenza.
            Non è raro che in quelle occasioni io mi rechi a casa di Irene. Attraverso il recinto incolto che mi separa dal villaggio, all'incirca una lega, proseguo per le strade disabitate e mi fermo davanti ai portone di casa sua, dove l'attendo apparire.
            Se sta lavando, mi piace osservare le sue mani che si fanno azzurre per l'acqua fredda; se è nell'orto, mi piace vedere la sua lesta tra i pesanti girasoli; se non c'è, mi piace veder vuoto il cortile e l'orto e l'attendo senza desiderare che arrivi.
 
II
 
            Irene è formosa, bionda, ciarliera; per questo mi sono deciso a venire in paese. Lava, canta, è agile, rapida, scarabocchia le carte con pupazzi inverosimili: in realtà la vita sarebbe divertente.
Non mi saluta da lontano quando si avvicina, ma io mi metto tra lei e me per raccogliere il suo primo bacio prima che scivoli dal suo volto. Aspetta, le dico, abbracciandola, non ti sei ricordata di me in questi lunghi giorni, perchè potevo venire? Lei non mi ascolta neppure: mi induce in fretta a raccontarle le mie storie. Mi sento felice al suo fianco, mentre m'invade la sua salute di pietra di ruscello.
 
III
 
I quattro cavalli sona neri alla luce notturna e riposano sdraiati presso la riva dell'acqua, come le nazioni sulla carta geografica. Rivas e io ci troviamo al Roble Huacho e ci mettiamo in cammino, senza parlare.
Latrano i cani a miglia di distanza, da ogni parte, e un vapore bianco sale dalie colline silenziose.
- Saranno le tre?
- Credo.
Ho spiccato il salto e con movimenti sordi tolgo i pali.
La mandria si alza ed esce lentamente. Le coigüillas (2) risuonano profondamente con intermittenza raddoppiata, metallica, fatale.
Rubare cavalli è facile, e contenti Rivas e io sproniamo le bestie. Rivas conosce il suo mestiere e si spingerà con la refurtiva fino al Limaiquén e nessuno meglio di lui saprà
nasconderla e venderla.
Ci salutiamo e a galoppo sfrenato raggiungo la mia strada, scendo le colline, e lungo il mare sprono spruzzandomi d'acqua, mentre il vento della notte marina mi colpisce
con violenza.
 
IV
 
Sono ammalato e sento il teso runrun della febbre che mi fa rigirare sulla paglia del covile. La cella ha una finestrella molto in allo, molto triste, con i suoi ferri sottili, con la sua parte di cielo alto. Due o tre prigionieri: Diego Cóper, pure ladro di cavalli, uomo altero, dall'aria orgogliosa, e Rojas Carrasco, un tipo grasso, sporco, antipatico, che non so  quali pasticci abbia con la polizia rurale.
Ma soprattutto, il lungo giorno, quando l'estate di questa regione marina ronza fino alle mie orecchie come una cicala, con lontano, lontano, il rumore della foce del fiume, dove ricordo il molo che affonda il suo legno solitario, il va e vieni dell'acqua profonda, o più lontano i carri colmi di vecchio frumento, l'aia, i mandorli.
Mi fa solo pena pensare di aver appreso le cose inutilmente, mi fa pena ricordare le gioie della mia abilità, l'esercizio della mia vita condotta come uno strumento in cerca di una speranza, la deserta latitudine vanamente esplorata con buoni occhi ed entusiasmo.
A mezza sera scivola di sotto la porta una gallina. Poi depone nella paglia del mio giaciglio un uovo che resta li, e la piccola immobilità spaventa.
 
V
 
Sono prigioniero della polizia di Cantalao, per affari di bestiame. Ho passato un mese in ozio con gran noia. È una caserma di campagna, dalle grandi pareti colorate, dove vengono a finire indios infelici e vagabondi dei campi. Io le scrivo per sapere di Irene, la moglie di Florencio, alla quale desidero che porti un messaggio che non ho bisogno di dirle. La vedo ed ho la sensazione che lei sia sola o che la maltrattino.
Che vuoi dire ciò? Cerchi di trovarla. Lei abita di fronte al yjllino delle Vásquez.
L’abbraccia il suo amico.
 
VI
 
Allora, quando cade ormai la sera e il rumore del mare alimenta la sua dura distanza, contento della mia libertà e della mia vita attraverso le deserte strade, seguendone una che conosco bene.
Nella sua stanza sto mangiando una mela. quando appare davanti a me, e l'odore dei gelsomini, che preme col petto e con le mani, si sommerge nel nostro abbraccio. Guardo, guardo i suoi occhi sotto la mia bocca, pieni di lacrime pesanti. Mi allontano verso il balcone mangiando la mia mela, silenzioso, mentre lei si stende un poco sul letto levando in alto il volto inumidito. Attraverso la finestra il crepuscolo passa come un frate, vestito di nero, che si fermi davanti a noi lugubremente. Il crepuscolo è uguale in ogni parte, davanti al cuore dell'uomo che si angoscia, vacilla il suo straccio e si arrotola intorno alle gambe come una vela vinta, timorosa. Infelice colui che non sa che strada prendere, del mare o della selva; infelice colui che rincasa e trova diviso il suo terreno in quell'ora debole, in cui nessuno può ritrarsi, poiché le condanne del tempo sono uguali e infinite, cadute sopra l'indecisione o le angosce.
Allora ci avviciniamo scongiurando il maleficio, chiudendo gli occhi come per oscurarci completamente, ma riesco a scorgere attraverso l’occhio destro le sue trecce gialle, lunghe tra i cuscini. Io la bacio riconciliato, col timore che muoia; i baci si ammucchiano come serpi, si toccano con levità estremamente diafana, sono baci profondi e molli, oppure si raggiungono i denti, che risuonano come metalli, o si sommergono le due grandi bocche, mentre noi tremiamo come infelici.
Ti racconterò giorno per giorno la mia infanzia, ti racconterò cantando i miei giorni solitari di liceo, oh, non importa, siamo stati lontani, ma ti parlerò di ciò che ho fatto, di ciò che ho desiderato fare e di come son vissuto senza tranquillità nella casa di Maurizio.
Lei è seduta ai miei piedi, sul balcone; ci alziamo, la lascio, cammino, fischiettando vado in su e in giù per la stanza a grandi passi e accendiamo la lampada, mangiamo senza parlarci molto, lei davanti a me, toccandoci i piedi.
Più tardi la bacio e ci guardiamo in silenzio, avidi, risoluti, ma la lascio seduta sul letto, E torno a passeggiare per la stanza, in su e in giù, in su e in giù, e torno a baciarla,
ma la lascio. Le mordo il braccio bianco, ma mi allontano.
Ma la notte è lunga.
 
VII
 
II dodici di marzo, mentre stavo dormendo, bussa alla mia porta Florencio Rivas. Io so, io so qualcosa di ciò che vuoi dirmi, Fiorencio, ma aspetta, siamo vecchi amici. Si siede vicino alla lampada, di fronte a me, e mentre mi vesto lo guardo, a volte, notando la sua calma preoccupazione. Florencio Rivas è un uomo tranquillo e duro, e il suo carattere
è leale e impulsivo.
Il mio compare di tavolo da gioco e di affari di bestiame asperso, è bianco di pelle, azzurro di occhi, e nell'azzurro di essi vi sono gocce d'indifferenza. È di profilo e la mano destra sostiene la fronte; sulla parete la sua ombra nera, seduta. Mi lascia fare, con la mia lentezza, e uscendo mi chiede il mio poncho (3) di lana grossa.
E’ per un lungo viaggio, amico.
Ma l'uomo che appare tranquillo, questa notte ha ucciso sua moglie, Irene. Io l'ho scritto nelle scarpe che mi sto mettendo, nella mia giacca bianca da contadino, lo leggo
scritto sulla parete, sul soffitto. Lui non mi ha detto nulla, Imi aiuta a sellare il mio cavallo, mi precede al trotto, non mi dice nulla. Poi galoppiamo, galoppiamo fortemente attraverso la costa solitaria, e il rumore degli zoccoli fa tas, tas, tas; così fa tra le erbacce vicino alla riva e batte contro le pietre della spiaggia.
II mio cuore è pieno di interrogativi e di sdegno, compagno Florencio. Irene è più mia che tua e parleremo; ma galoppiamo, galoppiamo, senza parlarci, vicini e guardando
avanti perché la notte è oscura e piena di freddo.
Ma questa porta la conosco, certo, e la spingo e so chi mi attende dietro di essa, so chi mi attende; vieni anche tu, Florencio.
Ma ormai è lontano e gli zoccoli del suo cavallo corrono profondamente nella solitudine notturna; egli va ormai arrancando per le strade dì Cantalao fino a perdersi di nome, fino ad allontanarsi senza ritorno.
 
VIII
 
La trovai morta, sul letto; nuda, fredda, come una gran lasca del mare; gettata li tra la schiuma notturna. La osservai da vicino: i suoi occhi erano aperti e azzurri come due mazzi di fiorì sul suo viso. Le mani erano contratte come se avessero voluto imprigionare del fumo, il suo corpo era disteso ancora con fermezza in questo mondo, ed era di un metallo pallido che voleva tremare.
Ahi, ahi, le ore del dolore che ormai non troverà più consolazione! In quei momento la sofferenza aderisce risolutamente al materiale dell'anima e il cambiamento si avverte
appena. I topi attraversano la stanza vicina, la foce dei fiume scontra le sue acque col mare, piangendo; è nera, è oscura la notte, sta piovendo.
Sta piovendo e alla finestra, dove manca un vetro, passa correndo il temporale, a ogni momento, ed è triste per il mio cuore la brutta notte che tende a rompere le cortine,
iI vento cattivo che sibila i suoi movimenti di tumulto, la stanza dov'è la mia donna morta; la stanza è quadrata, lunga, i lampi entrano a volte e non arrivano ad accendere i ceri grandi, bianchi, che ci saranno domani. Io voglio udire la sua voce d'inflessione all'indietro che inciampa, la sua voce sicura per giungere a me come una disgrazia che qualcuno porta sorridendo. Io voglio udire la sua voce che chiama d'improvviso, nascendo dal suo venire, dal suo sangue, la sua voce che non rimase mai ferma fissamente in nessun luogo. E nessuno della terra per uscire a cercarla. Io ho un acuto bisogno di ricordare la sua voce che forse non conobbi completa, che avrei dovuto ascoltare non solo davanti al mio amore, nelle mie orecchie, ma dietro !e pareti, nascondendomi perché la mia presenza non la cambiasse. Che perdita è questa? Come lo comprendo?
Sono seduto vicino a lei, ormai morta, e la sua presenza, come un suono ormai grandissimo, mi fa prestare attenzione sorda, esasperata, a una gran distanza. Tutto è misterioso, e la veglio tutta la triste oscura notte di pioggia che cade.
Solo all'alba sono di nuovo affranto sul cavallo che galoppa lungo la strada.
 
IX
 
Con gran passione le foglie si trascinano lamentandosi, gli uccelli si lasciano cadere dagli alti nidi e rotolano rumorosi fino al pallido tramonto, dove si stingono lievemente, ed esiste per tutta la terra un grave odore di spade polverose, un profumo senza riposo che, trasformato in una massa, sta fluttuando completamente disteso tra i lunghi diritti alberi come una bestia grigia, pelata, dalle ali lente. Oh animale dell'autunno, formato di disfatte farfalle con odore di polvere della terra, che ancor si nota silenzioso nella notte che sale dai buchi, tutto nascondendo col suo manto senza sosta.
Perché la sera è un bocciolo freddo da cui come neri fiori emergono ombre, passano carri triturando il giallo delle foglie, giallo livido di cadute morte trascinate fragili tele, coppie chine su se stesse che passano traballando come campane, dirigendosi verso quella direzione in cui una carta da gioco di metallo in monete spicca sulla parete. Autunno spaventato, va e vieni di cose senza rumore che annusandosi si avvertono, nel modo irriducibile per cui il cieco conosce il velluto e la bestia si sottomette alla notte.
Persino fisso implacabilmente nell'atmosfera che circonda le costelIazioni, circola come un anello lungo che vaglia solitudini, briciole d'illusioni, quelle non ormai definitivamente perdute, perché sono quelle che il vento può far vibrare lasciar cadere a frustate, fluttuando tra i mucchi di foglie rotte, affondando nel profondo dei cortili disabitati,
delle alcove troppo grandi, arrivando a inondare tutto e a stabilirsi come non si può dire che composizione misteriosa negli specchi, negli intirizziti lampadari, nelle frange delle stanche poltrone, ahi, perché tutto ciò vuol riprendersi verso la sua vera, ignorata vita segreta e tende a ritornare senza sentirsi troppo morto.
 
X
 
Era fuor di dubbio che José Silva sarebbe finito così, facendola a colpi di pistola con uno qualsiasi in una di quelle lugubri stazioni nei pressi di Cantalao e quando tutti i
calcoli sono fatti, calcoli che si vanno ammucchiando nella stessa uguaglianza negativa: disfare quel tumulto con una rapida azione è la vera strada. Io scelsi la fuga e attraverso
villaggi piovosi bruciati, solitari, casolari di boscaioli in cui immancabilmente si attende uno con immensi castelli di legna, col volto dei ferrovieri sconosciuti e preoccupati, con albergatori e albergatrici, e in fondo alla stanza dov'è la vecchia litografia amburghese, la coperta azzurra, la finestra con vista sulla pioggia, lo specchio dalla superficie annebbiata, da dove escono correndo i giorni giovedì, il lavabo, la brocca, la bacinella, la disperazione di uscire da nessun luogo e di giungere proprio lì. Ma il suo ritratto mi accompagnava, naturalmente, il ritratto in cui Irene ha quell'atteggiamento magnifico, di tranquilla persecutrice, con la mano messa in posizione dal fotografo, e gli occhi azzurri creati da Dio.
In realtà nel trovarla in quel piccolo albergo « Welcome», di fianco alla prefettura, solo l'impermeabile chiuso la allontanava dal suo ritratto.
Come liberarmi di quella donna? Le dissi affettuosamente buongiorno  sfuggendo al suo respiro; aveva creduto di affrontare la sua miseria, il suo abbandono in quel casolare abbandonato; non era altro che un mucchio di ricordi dolorosi. Sei venuta ad affermarmi la tua ultima luce? Nel tempo bagnato ho atteso la sua parola che giungeva di nuovo.
- Fiorendo è stato molto ammalato, e spesso ti ricordava e ti chiamava, ma non sapevo dove cercarti; dacché hai venduto il negozio nessuno ti può scoprire. Dio mio, che
cose succedono! Ma basta! A nessuno ho voluto parlare di questo; è rimasto là con le sue lacrime.
- Neppure io potevo dimenticarti. Non era necessario, tuttavia, che ci trovassimo a ogni passo, e quale cosa più difficile che sostituire la fretta dei vecchi giorni perduti. Guardavo passare i treni che lasciano i villaggi e non ti ho mai attesa, e li c'è la prova, il tuo ritratto di bambina, che in ogni parie mi ha seguito, custodito nella sua cornice nera di
lutto e completamente indimenticabile.                      i
Elvira veniva ogni mattina, non la guardavo; la tua presenza ritornava, fino ad oggi.
 
XI
 
Andrés mi svegliava tutti i giorni con grosse risate. Il suo riso spicca al disopra di lui, perché è così piccolo che quasi non lo trovo.
Davvero, è orribile questa vita, la Lucha, il sole entrava ogni mattina, la Lucha ancora cosi piccola, e trascinarsi fino al molo da dove si perdono tutti i sensi. Ma vi sarà qualche angolo di pietre dure ed enormi, e tinte di venature verdi da dove un uomo, con vocazione di solitudine, può attendere tutte le sere una stessa donna.                              .
- Ah, lo so bene, resterai ogni giorno a giocare a carte con Andrés, o Aguilera. con le braccia in alto. Ieri ti ho vista passare, ed eri tu, non negarlo, a distanza di due leghe   lo avrei affermato. Alla Lucia, ormai sposata, non si confanno quegli amoreggiamenti. Si, è lei, lo so bene.
Sì, era davvero Lucia. Nessuno più attraente di lei in quella pensione polverosa, in cui la sua grazia consisteva nell'inginocchiarsi ai piedi del mio letto, ogni volta che ero ammalato, nel consultare le tavole divinatorie, nel riempire le pareti della mia stanza con i suoi disegni dell'accademia, della quale lei sembrava alquanto nostalgica, con la testa      tinta vivacemente, i suoi occhi di uccello stordito. Non ha mai potuto capire nulla. Si, ma da tanto lontano la scorgo col vestito rosso che spicca nell'incavo impallidito del monte,
lei che mi attende, e, ahi, quanto ti amo, Lucia! Amo il tuo corpo stretto e senza egoismo, completamente pronto alla mia sete, amo l'abbandono del tuo cuore e la punta delle  tue scarpe raggrinzite lievemente per la povertà, e camminando uniti per il sentiero in cui vi sono lumache, perché è lì dove il mare-oceano sferza il suo odore di ostriche di     autunno e gli uccelli innalzano con lentezza di paracadute il loro cibo di alghe dormienti, è piacevole per il cuore, degli innamorati vagare senza ricordarsi di Sebastiàn ne dei suo invito, vagare, fianco contro fianco, è delizioso marcare profondamente il peso dell'orma sull'umidità della costa, anello di umidità della serpe infinita, che corre sulla riva del mare
che si agita; Lucia, quella dagli occhi grandi come tartarughe e che non escono mai dalla loro sorpresa determinata da tutte le piccole cose del mondo, dove hanno la loro parte di violaciocca, il cinematografo, la flora pesta delle cotonine, la sua collana dai grani di vetro, e l'avventura della mia vita che lei pare disdegnare. Ahi, per Dio, stringiamoci insieme, che la Stella di speranza incomincia a far risuonare il suo metallo umido da tutto il cielo, sì, e non occuparti molto di ciò ch'è troppo lontano. Desidero solamente quello che la tua ombra ha incontrato per un istante nel crescere o nel tremare; è troppo per quanto ho bisogno la tua nuca bianca e piccola dove posso stendermi a scrivere con delicatezza; non sei tu colei che mi sta attendendo nell'angolo che conosco di questa età solitaria?
Ricordo, sei tu colei che fece un disegno ormai dimenticato; erano due ombre entro una finestra; lei era bianca e debole come colei che io conobbi, lui col cappello calato e il cappotto fino al collo, e la sua figura nera di custode tuo; disegno che tu rompesti il giorno seguente, perché nell'inginocchiarti ai piedi del mio letto notasti una presenza estranea e la mia assenza con lei.
Poco importa, su, cantami In barcarola di tutto l'infinito che io desidero, mia piccola; siamo noi due, e siamo gli abitanti del limite che solo noi potremmo calpestare; cantami la barcarola delle tumultuose solitudini del mare, il profondo, l'oscuro della notte del mare, voglio apprendere dalla tua bocca color corallo infantile il crescere delle maree, raccontami come si arrotolano, si distendono, si raccolgono portando dentro di sé pesci vivi e florazioni di lutto; mia piccola Lucia, cantami, incantami col crescere della larva delle tenebre, lì dove incomincia a spuntare il buco delle finestre, l'alto splendore delle imbarcazioni del tempo, tutto ciò che amano gli uomini e le donne uniti ardentemente, e ciò che io solo, povero abitante perduto nell'onda di una speranza che mai ha saputo limitarsi, posso desiderare per far tacere i tuoi pensieri tristi.
Tuttavia, non è tardi e sono contento. Lucia, come ti amo. Ti conduco per il braccio come la mia piccola chimera, e quando vuoi saltare una pozzanghera della salubre acqua
del mare, io ti innalzo un poco con gioia, tanto quanto lo possono le mie forze.
Sei splendente. Il sole si infrange sulla tua piccola fronte, che corre lungo il tuo corpo come un vestito. Allora, siamo giunti ormai alla grotta del nostro riposo e baciandoci ardentemente, ci guardiamo con occhi tranquilli che s'ingrandiscono con la vicinanza, e quindi è il più dolce dei miei baci quello che ti fa cadere dolcemente all'indietro.
 
XII
 
Costruita la croce di verde legno, molti giorni passarono su di me senza che me ne accorgessi, correndo tra gli sterpeti segreti e umidi vicino al cimitero, sdraiato sulla riva del
ruscello di Rarinco, finché il primo temporale mi fece rotolare alla finestra della mia casa. Fuori il mare spruzza profondamente i piedi del colle silenzioso, giallastro, immobile.
E coperto di piante dure, intermittenti, o di lunghi erbari rosi dal colore del tempo e dalla presenza della solitudine, che cadono sul suo dorso come secche gualdrappe.
La riva del mare è bianca e parallela, vista dalla stanza; si muove il suo elemento triste e si lamenta; dietro l'insieme si fa azzurro, lontano, lontanissimo, e gli uccelli che volano gracchiando fino a quel limite, forse non trovano pietra dove fermare le loro ali.
E poi esistono quei giorni che si trascinano disgraziatamente, che passano girando senza portarsi dietro nulla, senza portarsi via nulla; il tempo che corre al nostro fianco, ciclista senza fretta e vestito di grigio, che getta la sua bicicletta sulla domenica, sul giovedì, sulla domenica dei villaggi, e allora, quando più l'aria sembra immobile, e il nostro anelito si fa invisibile, come una goccia di pioggia che s'incolli a un vetro, e sopra il tetto della mia camera troppo isolata, persiste, insiste, cadendo, l'acquazzone, che si vede nelle parti oscure dell'atmosfera, specialmente se alla finestra della facciata manca un vetro, il suo tessuto che s'incrocia, che s'insegue, fino al suolo.
Sono molti giorni che passeggio in lungo e in largo sull’impiantito della mia stanza, e il tempo dev'essere molto se ancora l'angoscia non cade dalle mie spalle; dev'essere
molto il tempo.
 
XIlI
 
Molti sono coloro che entrano nella bottega, e io ero lì fin dal mattino presto. Ho messo in ordine le scatole negli scaffali, allineando i pesanti rotoli di merce; mordo le gallette e i dolci.
Dopo un lungo periodo di inattività è difficile ricuperare il senso dell'azione, che esige energicamente equilibrio di quegli impossibili particolari. Mi sono deciso ad uscire dalla mia casa, che tanto ho amato, per prendermi cura del negozio di mio fratello; mi ha fatto piacere per quel lungo istante trattenuto qualsiasi occupazione sedentaria.
Io sono pigro e sognatore, e nego quasi sempre ai clienti le piccole merci che chiedono continuamente. Presto, tutto sta assumendo un'aria di bancarotta e di fine. Ma mi trovo bene. Irene, eccola che torna nuovamente a passare davanti alla mia porta, benché lo sappia bene, il suo vestito rosa e il cappello verde non attirano più la mia attenzione.
Si, è ben certo, lei vuole invanirsi sola, toccando debolmente la mia concentrata passione come da lontano e senza sapere, ma io l'ho guardata appena. E quando la sua bocca davanti a me, e ancora, ahi, completamente indimenticabile, mi chiese il prezzo della seta e del fazzoletto che avevo al collo, io, sono sicuro, le dissi quei prezzi senza un briciolo d’'impazienza.
 A volte, quando la noia è troppo grande, questo esilio mi sembra molto amaro. Ma, che c'è oltre il limite di questo villaggio? Quali piaceri segnano gli itinerari che io conosco?
Quali sorprese di improvvisa raffica marcano gli avvenimenti accaduti a distanza?
Per me le ore sono uguali, e si getteranno in mucchio sullo stesso tramonto. Nel negozio il gatto m'attende ogni mattina, cambia un poco il suo atteggiamento, secondo il numero dei digiuni che gli impone la mia negligenza. Ma anche, il suo padrone digiuna. Perché mi dimentico persino di mangiare, nella sonnolenza di avvenimenti identici, nell'immobilità esatta delle cose che mi circondano.
Bene, ci deve avere qualche fine. O forse, questa è la fine.
 
XIV
 
" Ma, per disgrazia si era cacciato
allora in un cattivo affare ».
LOTI: Mio fratello Ives.
 
Dirò con sincerità il mio caso: l'ho spiegato senza chiarezza perché io stesso non lo comprendo. Tutto avviene dentro di uno con movimento e colori confusi, senza che si
possa distinguere. La mia unica idea e stata di vendicarmi.
Si è trattato di lunghi giorni in cui questa idea incominciava a svegliarsi, a staccarsi dalle altre, venendo, ritornando, cioè una cosa naturale e che non si può allontanare. E lì nel cerchio scelto per il bersaglio s'inchioda d'improvviso silenziosamente la decisione.
Il mio uomo contro nulla fugge o è lontano. Conosco tutti i rifugi di Florencio, i nomi, le professioni, le città e le campagne per dove è passato il mio antico compagno. L'attacco l'ho meditalo dettaglio per dettaglio, impazzendo la notte, rimuginando l'azione disperata che deve liberare il mio spirito. Come un tremendo ostacolo sulla mia strada necessaria, quell'atto è entrato nella mia esistenza, e il periodo di disorientamento e di fatica non fa che isolarlo. .
Faccia a faccia con un individuo odiato dalle radici dell'essere, far parlare con voce silenziosa la sofferenza, decifrare con lentezza la condanna, non enumerare i dolori, le angosce del tempo forzato, perché non aumentino o indeboliscano la volontà di operare, stare attenti e fermi al momento in cui la pallottola spezzerà il petto dell'altro, e dei due avventurieri che fummo, uno restar morto lì sull'impiantito di una casa vuota, in campagna, in città, nei porti, stenderlo morto lì per una immediata volontà umana,
E che quei grande compimento stia per essere il mio, che quella gran sicurezza debba essere il mio alimento di dolori inghiottiti in continuità che solo io conosco e che an-
ch'io, una volta giunto il termine, sia il padrone della mia parte di libertà.
 Allora dalla notte che palpita sopra il mio letto cade dissolvendosi un rintocco di campana: le vigilie sono uguali in tutta la terra. È strano, ieri, quando salivo, la scala nell'oscurità scricchiolò molte volte, e improvvisamente mi colpi la sensazione dell'odore del mare. Starò attento. La lontananza del mare è opprimente, invade. Ho salilo i gradini pensando a lei, e al modo di misurarla depositando il mio corpo sulla sua riva distendendolo fino a impallidire.
Ahimè! Infelice l'uomo che può restare solo con i suoi fantasmi.
 
XV
 
Devo raccontarvi la mia avventura, a voi che conoscete completamente il segreto delle notti e vi alimentate di quel mistero, a voi disinteressati veglianti che tenete gli occhi
aperti sulla porta delle gallerie, li dove una luce rossa ammicca il pericolo, e vermi di luce verde attraversano il suo ventre, a voi che conoscete il destino della vigilia e che nel mare, nel deserto, nell'esilio, vedete nascere e crescere le grandi farfalle dalle ali di straccio che sbocciano dal sogno incompatibile, a voi pescatori, poeti, panettieri, guardiani di faro, e a quelli che, troppo gelosi per custodire un'inquietudine, conoscono il rischio di essere stati almeno una sola volta di fronte all'indecifrabile.
Pure di notte sono entrato titubante nella casa di colui che cercavo, col freddo dell'arma nella mano, e col cuore pieno di amare onde. È notte, scricchiolano gli scalini, scricchiola la casa intera sotto i piedi dell'omicida che sono leggerissimi, molto leggeri tuttavia, e nell'oscurità nera che viene da tutte le cose il mio cuore batteva fortemente. Sono anche entrato nella stanza del ritrovato; lì le tenebre erano ormai scese fino ai suoi occhi, il suo sonno era sicuro perché anche lui conosce l'inesistente: il mio antico compagno russava a tratti, e teneva chiusi gli occhi fortemente, con forza d'uomo saggio, come per conservare per sempre il suo sonno. Allora, che fa allora quel pallido fantasma nella cui mano alzata brilla qualcosa d'acciaio?
Stava dormendo, sognava che nel gran deserto confuso di sabbie e di uomini, nasceva una scala che dalla terra giungeva al cielo, e lui salendola sentiva la sua anima confusa. Chi sei tu, ladra, che accoccolata tra i pioli cuci silenziosamente e con una sola mano? Tutto è dello stesso colore, un grigio di fredda notte d'autunno, tutto ha il colore di vecchi metalli usati, e anche del tempo. Ecco che d'improvviso la vecchia la-dra si ferma davanti a Florencio. È uno sbaglio, come poteva essere cosi grande? La sua voce esce con rumore d'onde dall'unica mano, ma il suo linguaggio non lo si poteva capire. M'ingannavo, tutto era color d'arancia, tutto era come un solo frutto, la cui luce misteriosa non poteva maturare, e davanti a quel silenzio non si poteva comprendere nulla. Che cosa cercavamo lì? Indubbiamente non venivamo in cerca di nessun strumento dimenticato, e ripeto che questo colore è molto strano, come se li si ammucchiassero milioni di gusci lividi.
Le bestie arretravano sciolte fino a trovare la loro uscita. Il timore faceva correre anche me trattenendomi alla riva della corrente di quel corso. Dietro a tutto ciò v'è anche una donna che dorme, egli la ricorda senza concisione. Da tutta questa angoscia emergono lampi che vorrebbero precisarne la forma. Bene, è distesa sul fianco, e i pesci si ammucchiano nel desiderio di sorprendere il suo sguardo, ma lei è troppo dolce e pallida per poter guardare. Non guarda, i suoi occhi sono stanchi; anche le sue mani sono stanche, volevano solamente crescere. Chi potrebbe dire fin dove sarei arrivato? Ho sentito il suo freddo sulla mia fronte, il suo freddo di rotaia bagnata dalla rugiada della notte, o anche di viole bagnate. Il prato delle viole è immenso, sussiste malgrado la pioggia, tutto l'anno gli alberi delle viole crescono e affondano sotto miei piedi come cavoli. Questa è la verità. Ma non è possibile trovare nulla in quella regione, le viole spezzate si ricompongono con rapidità, crescono dietro di noi, e intorno a noi esiste solo questo pesante muro, denso, molle, verde, azzurro. Allora presi l'accetta della mia compagna, ma osservai che qualcosa di strano accadeva, era la mia accetta da boscaiolo, quella che i miei alberi avevano rubato e vidi la sua luce d'acciaio che tremava freddamente sulla mia testa. Farò attenzione. Bisognerà portarla legata alle caviglie, e lei griderà, ve lo assicuro, ululerà lugubremente come un cane.
Io sono stato da solo a solo, ad addormentare l'uomo che devo uccidere, ve l'assicuro, ma tra la mia mano levata con l'arma lucente, s'è interposto il suo sonno come una parete. Lo giuro, ho calato molte volte l'arma contro quel materiale impenetrabile, la sua densità immobilizzava la mia mano, e io stesso, nella casa solitaria in cui neppure io mi trovavo, mi misi a sognare.
Ora sto coi gomiti appoggiati alla finestra, e una gran tristezza appanna i vetri. Che cos'è ciò? Dove sono stato? Ecco che da questa casa silenziosa sboccia anche l'odore del mare, come se uscisse da una gran valva oceanica, e dove sto immobile, E’ ora, perché la solitudine incomincia a popolarsi di mostri; la notte tremola in una punta con colori cadenti, deserti, e l'alba solleva piangendo gli occhi dall'acqua.
 
 
 
 
(1)   Corda tripartita terminante con tre palle pesanti;
antica arma degli indios, poi dei gouchos;
serve per abbattere il bestiame.
(2) Piccoli anfibi cileni
(3) Mantello tipico del Sudamerica.
 
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