- 1923 - Crepuscolario
HELIOS
Iniziale
Sono andato sotto Helios, che mi guarda sanguinante
lavorando in silenzio i miei giardini assenti.
La mia voce sarà la stessa del seminatore che canta
quando getterà ai solchi semine dalla polpa ardente.
Chiudo, chiudo le labbra, ma in rose tremanti
si scioglie la mia voce, come l'acqua nella fonte.
Se non sono pompose, se non sono fragranti,
sono le prime rose — fratello viandante —
del mio sconsolato giardino adolescente.
Questa chiesa non ha
Questa chiesa non ha lampade votive,
non ha candelieri né cere gialle,
l'anima non abbisogna di ogive vetrate
per baciare le ostie e pregare in ginocchio.
Il sermone senza incensi è come un seme
di carne e di luce che cade tremando nel solco vivo :
il Padre-Nostro, preghiera della vita semplice,
ha un sapore di pane fruttifero e primitivo...
Ha un sapore di pane. Odoroso pane scuro
che nella bianca infanzia confidò il suo segreto
a ogni anima fragrante che Io volle udire...
E il Padre-Nostro in mezzo alla notte si perde,
corre nudo sopra i poderi verdi
e tutto tremante si immerge nel mare...
Pantheos
Oh pezzo, pezzo di miseria, in che vita
hai le mani candide e la testa triste?
...Tanto camminare, tanto piangere le cose andate
senza sapere che dolori furono quelli che avesti.
Senza sapere che pane bianco ti nutrì, né che duna
ti avvolse nella sua arena, ti fuse nel suo calore,
senza sapere se sei carne, sole o luna,
senza sapere se soffristi il nostro stesso dolore.
Se sei in quell'albero o se piangi con me,
cos'è ciò che vuoi, pezzo di miseria e amico
della carne stanca che non vuoi perderti?
Se vuoi non dirci di che grappolo siamo,
non dirci il quando, non dirci il come,
ma dicci dove ci porterà la morte...
Vecchio cieco, piangevi
Vecchio cieco, piangevi quando la tua vita era
bella, quando avevi nei tuoi occhi i! sole:
ma se ormai è giunto il silenzio, cosa attendi,
cosa attendi, cieco, cosa attendi dal dolore?
Nel tuo angolo rassomigli a un bimbo che sia nato
senza piedi per la terra, senz'occhi per il mare,
e che come le bestie nella notte cieca
— senza giorno né crepuscolo — si stanca d'aspettare.
Perché se tu conosci la strada che porta
in due o tre minuti verso la vita nuova,
vecchio cieco, che attendi, che puoi attendere?
E se per l'amarezza più bruta del destino,
animale vecchio e cieco, non conosci il cammino,
io che ho due occhi te lo posso indicare.
Il nuovo sonetto a Elena
Quando tu sarai vecchia, bimba (Ronsard già te lo disse),
ricorderai quei versi che io recitavo.
Avrai i seni tristi .d'aver cresciuto i figli,
gli ultimi germogli della tua vita vuota...
Io sarò cosi lungi che le tue mani di cera
areranno il ricordo delle mie rovine nude.
Comprenderai che può nevicare in Primavera
e che in Primavera le nevi son più crude.
Io sarò cosi lungi che l'amore e la pena
che prima vuotai nella tua vita come un'anfora piena
saran condannati a morire tra le mie mani...
E sarà tardi perché se n'è andata la mia adolescenza,
tardi perché i fiori una volta danno essenza
e perché anche se mi chiamerai io sarò cosi lungi...
Sensazione d'odore
Fragranza
di lillà...
Chiari tramonti della mia infanzia lontana
che fluì come il corso delle acque tranquille.
Poi un fazzoletto tremante in distanza.
Sotto il ciclo di seta la stella che ammicca.
Nient'altro. Piedi stanchi nei lunghi vagabondaggi
e un dolore, un dolore che rimorde e che s'acuisce.
... E in lontananza campane, canzoni, pene, ansie,
vergini che avevano così dolci le pupille.
Fragranza
di lillà...
Ivresse
Oggi che danza nel mio corpo la passione di Paolo
ed ebbro di un sogno gioioso si agita il mio cuore:
oggi che so la gioia d'esser libero e solo
come il pistillo di una margherita infinita:
oh donna — carne e sogno — vieni a incantarmi un poco,
vieni a vuotare le tue coppe di sole sulla mia strada:
tremino sulla mia nave gialla i tuoi seni pazzi
ed ebbri di gioventù, che è il vino più bello.
È bello perché noi lo beviamo
in queste tremanti coppe del nostro essere
che ci negano i! godimento perché lo godiamo.
Beviamo, non cessiamo mai di bere.
Mai, donna, raggio di luce, polpa bianca di mela,
addolcisci l'orma che non ti farà soffrire.
Seminiamo la pianura prima di arare il colle.
Vivere sarà prima, poi sarà morire.
E poi che nella strada si spegneranno le nostre orme
e nell'azzurro arresteremo le nostre bianche ascese
— frecce d'oro che inseguono invano le stelle —
oh Francesca, dove ti porteranno le mie ali!
Bruna, la baciatrice
Chioma bionda, sciolta.
che corre come un ruscello.
chioma.
Unghie dure e dorate,
fiori curvi e sensuali,
unghie dure e dorate.
Curva del ventre, nascosta,
e aperta come un frutto
o una ferita.
Dolce ginocchio nudo
stretto tra le mie ginocchia,
dolce ginocchio nudo.
Rampicante dei capelli
tra l'offerta rotonda
dei seni.
Orma che dura nel letto,
orma addormentata nell'anima,
parole pazze.
Perdute parole pazze:
concluderan le mie canzoni,
moriranno le nostre bocche.
Bruna, la Baciatrice,
roseto di tutte le rose
in un'ora.
Baciatrice dolce e bionda,
me n'andrò,
tè n'andrai, Baciatrice.
Ma ancora ho l'aurora
impigliata in ogni tempia.
Baciami, per questo, ora,
baciami, Baciatrice,
ora e nell'ora
della nostra morte.
Amen.
Orazione
Carne dolente e ammaccata,
torrente di pianto su ogni
notte di materasso malsano:
in quest'ora vorrei
vedere incantarsi le mie chimere
a fior di labbro, petto e mano,
perché esse discendano
— pure e uniche stelle
dei giardini de! mio amore —
in carovane immacolate
sopra le anime delle puttane
di questa città del dolore.
Mal d'amore, sensuale meschinità:
campana nera di miseria:
rose del letto di sobborgo,
aperto al male come una strada
per cui va il piacere e il vino
dalla gloria all'ospedale.
In quest'ora in cui i lillà
scuotono le loro foglie tranquille
per togliersi la polvere impura,
vola il mio spirito indenne,
passa per l'orto e la valle,
apre la porta, salta il muro
e va impigliando nella sua strada
il dolore cattivo, l'acre destino,
e denudando !e radici
delle donne che lottarono,
caddero,
peccarono,
morirono
sotto le sferze della fame.
Non solo è seta ciò che scrivo;
che il mio verso sia vivo
come ricordo in terra straniera
per illuminare la sventura
di chi va verso la morte
come il sangue per le vene.
Di chi va dalla vita
rotte le mani indolenzite
in tutti gli sterpi altrui:
di chi in queste ore quiete
non ha madre ne poeta
per la pena.
Perché la fronte in quest'ora
si china e lo sguardo piange
saltando dolori e muri:
in quest'ora in cui i lillà
scuotono le loro foglie tranquille
per togliersi la polvere impura.
Il ritornello del turco
Fiore il pantano, fonte la roccia:
la tua anima abbellisce ciò che tocca.
La carne passa, la tua vita resta
tutta nel mio verso di sangue o di seta.
Bisogna esser dolce sopra tutte le cose:
più di uno sciacallo conta una farfalla.
Sei un baco che lavora e opera:
per te crescono i verdi gelsi.
Perché tu tessa la tua seta celeste
la città sembra tranquilla e agreste.
Baco che lavori, d'improvviso sei vecchio:
il dolore del mondo raggrinza le tue nocche!
Alla morte la tua anima nuda si affaccia,
e le spuntano ali d'aquila e di colomba!
La terra conserva i tuoi vergini atti,
fratello bruco, le tue sete intatte.
Vive nell'alba e nel crepuscolo,
adora la tigre e il corpuscolo,
comprende la puleggia e il muscolo!
Se ne vada la tua vita, fratello,
non nel divino ma nell'umano,
non nelle stelle ma nelle tue mani.
Arriverà la notte e poi
sarai di terra, di vento o di fuoco.
Per questo lascia che tutte le tue porte
vibrino, a tutti i venti aperte.
E invita il viandante nel tuo orto:
da al viandante il fiore della tua vita!
Non essere duro, parco né avaro:
sii un frutteto senza uncini né muraglie!
Bisogna esser dolci e concedersi a tutti,
per vivere non v'è altra maniera
d'essere dolci. Darsi alla gente
come alla terra le fonti.
Non temere. Non pensare.
Dare per tornare a dare.
Chi si da non ha fine
perché in lui c'è polpa divina.
Come si danno senza fine, fratello mio,
al mare le acque dei fiumi!
Che il mio canto nella tua vita indori ciò che tu vuoi.
La tua buona volontà trasformi in luce ciò che guardi.
Sia cosi la tua vita.
— Menzogna, menzogna, menzogna!
Il castello maledetto
Mentre cammino il marciapiede va battendo il mio piede,
il fulgore delle stelle mi va rompendo gli occhi.
Mi cade un pensiero come cade una messe
dal carro che dondolando riga le grige stoppie.
Oh pensieri perduti che mai nessuno raccoglie,
se la parola si dice, la sensazione resta dentro:
spiga non maturata, Satana le trovi granaio,
che io con gli occhi rotti non lo cerco né lo trovo!
Con gli occhi rotti seguo una via senza fine...
Perché i pensieri, perché la vita invano?
Come muore la musica se si disfa il violino,
non muoverò la mia canzone quando non muoverò le mie mani.
Fermati cuore mio nella spianata deserta
dove sto crocefisso come il dolore in un verso...
La mia vita è un gran castello senza finestre e senza porta
e perché tu non giunga per questo sentiero,
lo devio.
FAREWELL E SINGHIOZZI
Farewell
1
Dal fondo di te, e inginocchiato,
un bimbo triste, come me, ci guarda.
Per quella vita che arderà nelle sue vene
dovrebbero legarsi le nostre vite.
Per quelle mani, figlie delle tue mani.
dovrebbero uccidere le mie mani.
Per i suoi occhi aperti sulla terra
vedrò un giorno lacrime nei tuoi.
2
Io non voglio, Amata.
Perché nulla ci leghi
che nulla ci unisca.
Né la parola che profumò la tua bocca,
né ciò che le parole non dissero.
Né la festa d'amore che non avemmo,
né i tuoi singhiozzi vicino alla finestra,
3
(Amo l'amore dei marinai
che baciano e se ne vanno.
Lasciano una promessa.
Mai più ritornano.
In ogni porto una donna attende:
i marinai baciano e se ne vanno.
Una notte si coricano con la morte
nel letto del mare.)
4
Amo l'amore che si suddivide
in baci, letto e pane.
Amore che può essere eterno
e può esser fugace.
Amore che vuoi liberarsi
per tornare ad amare.
Amore divinizzato, che si avvicina.
Amore divinizzato che se ne va.
5
Più non s'incanteranno i miei occhi nei tuoi,
più non s'addolcirà vicino a te il mio dolore.
Ma dovunque andrò porterò il tuo sguardo
e dove andrai porterai il mio dolore.
Fui tuo, fosti mia. Cos'altro? Insieme facemmo
un angolo sulla strada dove l'amore passò.
Fui tuo, fosti mia. Tu sarai di colui che t'amerà,
di colui che taglierà nel tuo orto ciò che io ho seminato.
Me ne vado. Son triste: ma sempre sono triste.
Vengo dalle tue braccia. Non so dove vado.
...Dal tuo cuore mi dice addio un bimbo.
E io gli dico addio.
Il padre
Terra dalla superficie incolta e dura,
terra in cui non vi sono ruscelli né strade,
la mia vita sotto il sole trema e so allunga.
Padre. i tuoi dolci occhi non posson nulla,
come nulla poterono le stelle
che mi bruciano gli occhi e le tempie.
II mal d'amore mi accecò la vista
e nella fonte dolce del mio sogno
si riflette altra fonte tremante.
Poi... Domanda a Dio perché mi dettero
ciò che mi dettero e perché poi
conobbi una solitudine di terra e di cielo.
Guarda, la mia gioventù fu un germoglio puro
che rimase senza aprirsi e perde
la sua dolcezza di sangue e di succhi.
Il sole che cade e cade eternamente
si stancò di baciarla... E l'autunno.
Padre, i tuoi dolci occhi non posson nulla.
Ascolterò nella notte le tue parole:
...bimbo, bimbo mio...
E nella notte immensa
continuerò con le mie piaghe e le tue piaghe.
Il cieco del cembalo
Cieco, il tuo ieri sarà sempre domani?
Sempre il tuo povero cembalo
farà tremare le tue mani aggrinzite?
Passo, vedo la tua forma
e mi sembra che il tuo cuore
vibri con il tuo cembalo.
Ieri son passato e ho appreso il tuo dolore:
dolore che poiché io l'ho appreso
è assai maggiore.
Non tornerò per non rivederti,
ma domani la tua sagoma nera
sarà come ieri:
la mano che riceve,
gli occhi che non vedono.
il volto grigio, compassionevole e triste,
che batte in ogni salto la parete.
Cieco, sto ormai passando, ti guardo,
e di rabbia e di dolore - che so! -
qualcosa mi stringe il cuore,
il cuore e la tempia.
Per i tuoi occhi che mai hanno visto
cambierei questi miei che ti vedono!
Amore
Donna, avrei voluto essere tuo figlio, per berti
il latte dai seni come da una sorgente,
per guardarti e sentirti al mio fianco e averti
nel riso d'oro e nella voce di cristallo.
Per sentirti nelle mie vene come Dio nei fiumi.
e adorarti nelle tristi ossa di polvere e di calce,
perché il tuo essere passasse senza pena al mio fianco
e uscisse nella strofa - puro d'ogni male -.
Come saprei amarti, donna, come saprei
amarti, amarti come nessuno seppe mai!
Morire e amarti
ancor più.
E ancor più
amarti,
di più.
Sobborgo senza luce
Se ne va la poesia dalle cose
o non la può condensare la mia vita?
Ieri - guardando l'ultimo crepuscolo -
ero una gran macchia di muschio tra rovine.
Le città - fuliggine e vendetta -
la porcheria grigia dei sobborghi,
l'ufficio che curva le spalle,
il capo dagli occhi torbidi.
Sangue di un tramonto sopra i colli,
sangue sopra le strade e le piazze,
dolore di cuori spezzati,
putridume di tedio e di lacrime.
Un fiume abbraccia il sobborgo come una
mano gelida che palpi nelle tenebre:
sulle sue acque le stelle
si vergognano di vedersi.
Le case nascondono i desideri
dietro le finestre luminose,
mentre fuori il vento
porta un po' di fango a ogni rosa.
Lungi... la bruma dell'oblio
- fumi densi, dighe rotte -
e la campagna, la campagna verde!, in cui ansimano
i buoi e gli uomini sudanti.
Io sto qui, sbocciato tra le rovine,
a mordere solo tutte le tristezze,
come se il pianto fosse un seme
e io l'unico solco della terra.
Ponti
Ponti: archi d’acciaio azzurro dove vanno
A dare i loro addii quelli che passano
- in alto i treni,
sotto le acque -
malati di proseguire un lungo viaggio
che inizia, continua e mai finisce.
Cieli – in alto – cieli,
e uccelli che passano
senza fermarsi, camminando come
i treni e le acque.
Qual maledizione cadde su di voi?
Ché attendete nella notte densa e lunga
con le braccia aperte come un bimbo
che muore all’arrivo della sorella?
Qual voce di maledizione passiva e nera
sopra di voi distese le sue ali,
per far che continuassero
il viaggio che non termina
il paesaggi, la vita, il sole, la terra,
i treni e le acque,
mentre l’angoscia immobile dell’acciaio
affonda ancor più nella terra e più l’inchioda?
Maestranze di notte
Ferro nero che dorme, ferro nero che geme
da ogni poro un grido di desolazione.
Le ceneri arse sopra la terra triste,
le colate in cui il bronzo ha sciolto il suo dolore.
Uccelli di che lontano paese sventurato
gracidarono nella notte dolorosa e senza fine?
Il grido mi si raggrinza come un nervo attorcigliato
o come la corda spezzata di un violino.
Ogni macchina ha una pupilla aperta
per guardare me.
Dalle pareti pendono le interrogazioni,
fiorisce sulle incudini l'anima dei bronzi
e c'è un tremore di passi nelle stanze deserte,
Nella notte nera - disperate - corrono
e singhiozzano le anime degli operai morti.
Mimose gialle nei campi di Loncoche
II piede grigio del "Malo" calpestò queste brune terre,
colpì questi dolci solchi, mosse questi curvi monti,
graffiò le pianure custodite dalla fila
rurale dei ritti pioppeti bifronti.
Il terrapieno giacente smosse la sua stanchezza,
s'apri come una mano disperata il monte,
in cavalcate ebbre galoppavano le nubi
partendo da Dio, dalla terra e dal cielo.
L'acqua entrò nella terra mentre la terra fuggiva
aperte le viscere e inondata la fronte:
verso i quattro venti, nelle sere maledette,
rotolavano - ululando come tigri - i treni.
Io sono una parola di questo paesaggio morto,
sono il cuore di questo cielo vuoto:
quando vado per i campi, con l'anima nel vento,
le mie vene continuano il rumore dei fiumi.
Dove vai ora? - Sopra il cielo la creta
del crepuscolo, per le dita della notte.
Non illuminerai stelle... Nei miei occhi s'impigliano
mimose bionde nei campi di Loncoche.
Grido
Amore, quando sarai giunto alla mia fonte lontana,
cerca di non mordermi con la tua voce d'illusione:
che il mio dolore oscuro non muoia sulle tue ali,
che nella tua gola d'oro non soffochi la mia voce.
Amore - quando sarai giunto
alla mia fonte lontana,
sii rovescio che scortica,
sii frangente che inchioda.
Amore, sciogli il ritmo
delle mie acque tranquille:
sappi essere il dolore che trema e soffre,
sappi esser per me l'angoscia che si contorce e grida.
Non darmi l'oblio.
Non darmi l'illusione.
Perché tutte le foglie cadute sulla terra
han reso giallo d'oro il mio cuore.
Amore - quando sarai giunto
alla mia fonte lontana,
torcimi le sorgenti,
contraimi le viscere.
Cosi una sera - Amore dalle mani crudeli -
inginocchiato, ti ringrazierò.
I giocatori
Giocano, giocano.
Accovacciati, rugosi, decrepiti.
Quest'uomo torvo
presso i mari della sua patria, più lontana del sole,
cantò belle canzoni.
Canzone della bellezza della terra,
canzone della bellezza dell'Amata,
canzone, canzone
cui non occorre fine.
Quest'altro dalla mano sulla fronte,
pallido come l'ultima foglia di un albero,
deve aver figlie bionde
dalla carne soda,
granata,
rosea.
Giocano, giocano.
Li guardo tra la vaga bruma del gas e del fumo.
E guardando questi uomini so che la vita è triste.
I CREPUSCOLARI DI MARURI
La sera sopra i tetti
(Lentissimo)
La sera sopra i tetti
cade
e cade...
Chi le diede perché venisse
ali d'uccello?
Questo silenzio che riempie
tutto,
da che paese d'astri
venne solo?
Perché questa bruma
- piuma tremula -
bacio di pioggia
- sensitiva -
cadde in silenzio - e per sempre
sulla mia vita?
Se Dio è nel mio verso
Cane mio.
Se Dio è nel mio verso,
Dio son io.
Se Dio è nei tuoi occhi dolenti
tu sei Dio.
In questo mondo immenso non v'è alcuno
che s'inginocchi davanti a noi due!
Amico
1
Amico, portati via quello che vuoi,
affonda il tuo sguardo negli angoli,
e se vuoi ti darò tutta l'anima
coi suoi bianchi viali e le sue canzoni.
2
Amico - fa che con la sera se ne vada
questo inutile e vecchio desiderio di vincere.
Bevi nella mia brocca se hai sete.
Amico - con la sera fa che se ne vada
questo mio desiderio che ogni roseto
mi appartenga.
Amico,
se hai fame mangia del mio pane.
3
Tutto, amico, ho fatto per te. Tutto ciò
che senza guardare vedrai nella mia stanza nuda:
tutto ciò che s'innalza per i muri diritti
- come il mio cuore - sempre cercando altezza.
Tu sorridi - amico -. Che importa. Nessuno sa
affidare alle mani ciò che nasconde dentro,
ma ti do la mia anima, anfora di mieli dolci,
tutto ti do... Meno quel ricordo...
... Nel mio podere vuoto quell'amore perduto
è una rosa bianca che si apre in silenzio...
Farfalla d'autunno
La farfalla svolazza
e arde a volte con il sole.
Macchia volante e fiammata,
ora rimane ferma
su una foglia che la dondola.
Mi dicevano: - Non hai nulla.
Non sei malato. Ti sembra.
Neppur io dicevo nulla.
E passò il tempo delle messi.
Oggi una mano d'angoscia
empie d'Autunno l'orizzonte.
Anche dalla mia anima cadon foglie.
Mi dicevano: - Non hai nulla.
Non sei ammalato. Ti sembra.
Era l'ora delle spighe.
Il sole, ora,
è convalescente.
Tutto se ne va nella vita, amici.
Se ne va o perisce.
Se ne va la mano che ti induce.
Se ne va o perisce.
Se ne va la rosa che sciogli.
Anche la bocca che ti bacia.
L'acqua, l'ombra e il bicchiere.
Se ne va o perisce.
È passata l'ora delle spighe.
Il sole, ora, è convalescente,
La sua lingua tiepida mi circonda.
Anche lui mi dice: - Ti sembra.
La farfalla svolazza,
svolazza di nuovo
e sparisce.
Dammi la magica festa
Dio - da dove hai tratto per accendere il cielo
questo meraviglioso crepuscolo di rame?
Per lui seppi empirmi d'allegria di nuovo,
lo sguardo cattivo trasformarlo in nobile.
Tra le fiammate gialle e verdi
il lampadario s'illuminò d'un sole sconosciuto
che spaccò le azzurre pianure dell'Ovest
e rovesciò nelle montagne le fonti e i fiumi.
Dammi la magica festa, Dio, lasciala nella mia vita,
dammi i tuoi fuochi per illuminare la terra,
lascia nel mio cuore la tua lampada accesa:
io sarò l'olio della sua luce suprema.
Me n'andrò per i campi nella notte stellata
con le braccia aperte e la fronte nuda,
cantando arie ingenue con le stesse parole.
II sole m'accarezza i capelli
Il sole m'accarezza i capelli
come una mano materna:
apro la porta del ricordo
e il pensiero mi si perde.
Sono altre voci che reco,
è d'altre labbra la mia canzone:
persino la mia grotta di ricordi
ha una strana chiarità!
Frutti di terre straniere,
onde azzurre d'altro mare,
amori d'altri uomini, pene
che non oso ricordare.
E il vento, il vento che m'accarezza
come una mano materna!
La mia verità si perde nella notte:
non ho notte né verità!
Disteso in mezzo alla strada
devono calpestarmi per passare.
Passano per me i suoi cuori
ebbri di vino e di sogno.
Io sono un ponte immobile tra
il tuo cuore e l'eternità.
Se morissi d'improvviso
non cesserei di cantare!
Saudade
"Saudade” - Che sarà?... non so... l'ho cercato
in dizionari polverosi e antichi
e in altri libri che non m'han dato il significato
di questa dolce parola dai profili ambigui.
Dicono che le montagne azzurre sono come lei,
che in lei s'oscurano gli amori lontani,
e un nobile e buon amico mio (e delle stelle)
la pronuncia in un tremito di trecce e di mani.
Oggi in Eça de Queiroz senza guardare l'indovino,
il suo segreto evade, la sua dolcezza m'ossessiona
come una farfalla dal corpo strano e fine
sempre lungi - così lungi! - dalle mie tranquille reti.
"Saudade”... Senta, amico, sa il significato
di questa parola bianca che come un pesce evade?
No... Mi trema sulla bocca il suo tremito delicato…
" Saudade "...
Non l'avevo guardato
Non l'avevo guardato e i nostri passi
risuonavano insieme.
Mai avevo udito la sua voce e la mia voce andava
riempiendo il mondo.
Vi fu un giorno di sole e la mia gioia
in me non stette.
Sentii l'angoscia di portare la nuova
solitudine del crepuscolo.
Lo sentii vicino alle mie braccia ardenti,
limpido, sanguinante, puro.
E il mio dolore, sotto la notte nera
entrò nel suo cuore.
E andiamo insieme.
La mia anima
La mia anima è un carosello vuoto nel crepuscolo.
Son qui col mio povero corpo
Son qui col mio povero corpo davanti al crepuscolo
che colora d'ori rossi il cielo della sera;
mentre tra la nebbia gli alberi oscuri
si liberano ed escono a danzare nelle strade.
Io non so perché son qui, né quando son venuto,
né perché la luce rossa del sole empie tutto:
mi basta sentire davanti al mio corpo triste
l'immensità di un cielo di luce tinto d'oro,
l'immenso rossore d'un sole che più non esiste,
l'immenso cadavere d'una terra ormai morta,
e davanti alle astrali luminarie che tingono il cielo,
l'immensità della mia anima sotto la aera immensa.
Oggi, che è il compleanno di mia sorella
Oggi, che è il compleanno di mia sorella, non ho
nulla da darle, nulla. Non ho nulla, sorella.
Tutto ciò che posseggo lo porto sempre lontano.
A volte persino la mia anima mi sembra lontana.
Povero come una foglia gialla d'autunno
e cantore come un filo d'acqua sopra un orto;
i dolori, tu sai come mi cadono tutti
come sulla strada cadono tutte le foglie morte.
Le mie gioie non le saprai mai, sorellina.
e il mio dolore è quello, non posso dartele:
son venute come uccelli a posarsi sulla mia vita,
una parola dura le farebbe volare.
Penso che anche loro un giorno mi lasceranno,
che rimarrò solo, come mai lo sono stato.
Tu lo sai, sorella, la solitudine mi porta
verso la fine della terra come il vento le nubi!
Ma perché questi pensieri tristi!
Meno di tutti te deve affliggere la mia voce!
Dopotutto nulla di ciò che dico esiste...
Non raccontarlo a mia madre, ti prego!
Non si sa come si vada imbastendo menzogne,
si parla per esse, ed esse parlano per noi.
Pensa che ho l'anima colma di riso,
e non t'ingannerai, sorella, te lo giuro.
Donna, nulla mi hai dato
Nulla mi hai dato e per te la mia vita
sfoglia il suo roseto di afflizioni,
perché vedi queste cose che io guardo,
le stesse terre e gli stessi cieli,
perché la sete di nervi e di vene
che sostiene il tuo essere e la tua bellezza
deve fremere al bacio puro del sole,
dello stesso sole che mi bacia.
Donna, nulla mi hai dato e tuttavia
sento attraverso il tuo essere le cose:
son felice di guardare la terra
sulla quale il tuo cuore trema e riposa.
Invano mi limitano i miei sensi
- dolci fiori che sì aprono nel vento -
perché indovino l'uccello che passa
e che bagnò d'azzurro il tuo sentimento.
Tuttavia non mi hai dato nulla.
non fioriscono per me i tuoi anni,
la cascata di rame del tuo riso
non spegnerà la sete dei miei greggi.
Ostia che non assaggiò la tua bocca fine,
amante dell'amato che ti chiamerà,
uscirò sulla strada col mio amore al braccio
come una coppa di miele per colui che amerai.
Vedi, notte stellata, canto e coppa
in cui bevi l'acqua che io bevo,
vivo nella tua vita, vivi nella mia vita,
nulla m'hai dato e tutto ti devo.
Ho paura
Ho paura. La sera è grigia e la tristezza
del cielo si apre come una bocca di morto.
II mio cuore ha un pianto di principessa
dimenticata nel fondo di un palazzo deserto.
Ho paura. E mi sento cosi piccolo e stanco
che rifletto la sera senza meditare su lei.
(Nello mia testa malata non deve entrare un sogno
così come nel cielo non è entrata una stella).
Tuttavia nei miei occhi una domanda esiste
e c'è un grido nella mia bocca che la mia bocca non grida.
Non v'è orecchio sulla terra che oda i! mio lamento triste
abbandonato in mezzo alla terra infinita!
L'universo muore d'una calma agonia
senza la festa del sole o il crepuscolo verde.
Agonizza Saturno come una pena mia,
la terra è un frutto nero che il cielo morde.
Per la vastità del vuoto vanno cieche
le nubi della sera, come barche perdute
che nascondessero stelle spezzate nelle loro stive.
E la morte del mondo cade sopra la mia vita.
FINESTRA SULLA STRADA
Contadina
Tra i solchi il tuo corpo bruno
è un grappolo che giunge alla terra.
VoÌgi gli occhi, guardati i seni,
sono due semi acidi e ciechi.
La lua carne è terra che sarà matura
quando l'autunno ti tenderà le mani,
e ii solco che sarà la tua sepoltura
tremerà, tremerà, come un essere umano
ricevendo le tue carni e le tue ossa
— rose di polpa con rose di calce:
rose che nel primo dei baci
vibrarono come una coppa di cristallo —,
La parola di che concetto pieno
sarà il tuo corpo? Non lo saprò!
Volgi gli occhi, guardati i seni,
forse non riuscirai a fiorire.
Acqua addormentata
Voglio saltare nell'acqua per cadere sul cielo.
Sinfonia della trebbiatura
Scuote le epiche aie
un pazzo vento festivo.
Ah cavallacavallaa!..
Come un bocciolo in Primavera
s'apre un nitrito di cristallo.
Scoppia la spiga gagliarda
sotto le zampe vigorose.
Ah cavallacavallaa!.,
Per aumentare il chiasso
trebbierebbero le farfalle!
Maturi frumenti gialli,
campi esperti nel donare.
Ah cavallacavallaa!...
Uomini dal cuore semplice.
Che altro possiamo attendere?
Questo è il frutto della tua scienza,
uomo dalla mano callosa.
Ah cavallacavallaa!..,
Solo perché mancan di pazienza
le copihueras non dan rose!
Sole che cadde a grappoli sulla pianura,
ambra di sole, voglio adorarti in tutto:
nell'oro del frumento e delle mani
che lo fecero covoni e mucchi.
Ambra del sole, voglio divinizzarti
nel fiore, nel grano e nel vino.
Amore solo mi basta per amarti;
per divinizzarti, fammi divino!
La terra fiorisca nelle mie azioni
come nel succo d'oro delle vigne,
profumi il dolore delle mie canzoni
come un frutto dimenticato nella campagna.
Trascenda la mia carne di semine
avide di sbocciare da ogni parte,
le mie arterie rechino acqua pura,
acqua che canta quando si riparte!
Io voglio stare nudo nei covoni,
calpestato dagli zoccoli nemici,
voglio aprirmi e dare semi
di pane, voglio esser di terra e di frumento!
Io diedi liquori rossi e dolenti
quando l'Amore trebbiò i mici viali:
ora darò liquori di sorgente
profumerò le valli con la mia ferita.
Campo, dammi le tue acque e le tue rocce,
sotterrami nei tuoi solchi, o raccogli
la mia vita nelle canzoni della tua bocca
come grano di frumento dei tuoi granai...
Dolcifica le mie labbra coi tuoi mieli,
campo dai reconditi favi!
Profumami di mele e di allori,
sgranami negli ultimi campi di grano...
Empimi il cuore di sonagli,
campo dai levrieri pastorali!
Cigolano per le strade
i carri dai ventri fecondi.
Ah cavallacavallaa I...
La fiammata delle aie
è la chioma del mondo!
Un grido di bronzo va rimuovendo
le bestie che trebbiano senza tregua
in un turbine tremendo...
Ah cavallacavallaa!...
Spiaggia del sud
La dentata del mare morde
la polpa aperta della costa
dove s'infrange l'acqua verde
contro la terra silenziosa.
Ciclo immobile e lontananza.
L'orizzonte, come un braccio,
circonda la frutta accesa
del sole che cade nell'occaso.
Davanti alla furia dei mare
sono inutili tutti i sogni.
Perché dire la canzone
d'un cuore ch'è si piccolo?
Ma è così vasto il cielo
e rotola il tempo, tuttavia.
Distendersi e lasciarsi portare
da questo vento azzurro e amaro!...
Sgranato vento del mare,
continua a baciarmi il volto.
Trascinami, vento del mare,
dove nessuno m'attendel
Portami, vento, tra le tue ali,
alla terra più povera e dura,
come a volte porti i semi
delle erbe cattive.
Esse vogliono angoli umidi,
solchi aperti, esse vogliono
crescere come tutte le erbe:
io voglio solo che mi porti!
Là starò come sto qui:
dove andrò starò sempre
col desiderio di partire
e con le mani alla fronte...
Quella è la piccola canzone
cullata in un vasto sogno.
Perché dire la canzone
se il cuore è cosi piccolo?
Piccolo davanti all'orizzonte
e davanti al mare impazzito.
Se Dio gemesse su questa spiaggia
nessuno udirebbe i suoi gemiti!
A morsi di sale e di schiuma
cancella il mare i miei ultimi passi..
La marea scioglie ora
il suo cinturone, nel tramonto.
E uno stormo riga il cielo
come una nube di frecce...
Macchia in terre colorate
Patio di questa terra, luminoso patio
disteso sulla riva del fiume e del mare.
Chino sulla bocca del pozzo
dal fondo del pozzo mi vedo sbocciare
come in un'istantanea da sessanta centesimi
distante e mossa. Fotografo povero,
l'acqua ritratta la mia camicia aperta
e i miei capelli di fibre nere e sconvolte,
Un alato stormo d'uccelli sale
come una scala di seta, una nube.
E, spuntando dietro la cinta semplice,
testa gialla, come meraviglia,
come il cuore della siesta nella trebbia,
bionda come l'anima della camomilla,
vedo a volte, gloria del paesaggio secco,
la testa bionda di Laura Pacheco.
Poema in dieci versi
II mio cuore era un'ala viva e torbida
e paurosa ala di anelito.
Era primavera sopra i campi verdi.
Azzurra era l'altezza e smeraldo il suolo.
Lei — quella che m'amava — morì in Primavera.
Ricordo ancora i suoi occhi di colomba in veglia.
Lei — quella che m'amava — chiuse gli occhi. Sera.
Sera di campagna, azzurra. Sera d'ali e di voli.
Lei — quella che m'amava — morì in Primavera.
E si portò la Primavera al cielo,
Paese
L'ombra di questo monte protettore e propizio,
mi copre come una coperta indiana fresca e rurale:
bevo l'azzurro del cielo coi miei occhi senza vizio
come succhia un agnello il latte dalle mammelle.
AI piè della collina si stende l'abitato e sento,
senza volerlo, il rotolare dei tranways urbani;
una chiesa s'innalza per infilzare il vento,
ma il vagabondo le sfugge dalle mani.
Paese, sei triste e grigio. Hai strade lunghe,
e per le tue strade passeggia un odore di fondaco.
L'acqua dei tuoi pozzi la trovo più amara.
Le anime dei tuoi uomini mi sembrano più brutte.
Non sanno la bellezza d'una fonte che canta,
ne di chi la travasa fiorendo un concetto.
Senza fermarsi, come l'acqua nella gola,
dai loro cuori se ne va il verso perfetto.
II paese è grigio e triste. Se sono assente penso
che l'assenza sembra avvicinarlo a me.
Ritorno e anche il cielo ha uno sbadiglio immenso.
Cresce nella mia anima un odio, come quello di prima, intenso.
Ma lei abita qui.
PELLEAS E MELISANDA
Melisanda
II suo corpo è un'ostia fine, minuscola e lieve.
Ha gli occhi azzurri e le mani di neve.
Nel parco gli alberi sembran congelati,
gli uccelli si ferman su di essi stanchi.
Le sue trecce bionde toccano l'acqua dolcemente
come due braccia d'oro sbocciate dalla fonte.
Ronza il volo perduto delle civette cieche.
Melisanda s'inginocchia e prega.
Gli alberi s'inclinano fino a toccar la sua fronte.
Gli uccelli s'allontanano nella sera dolente.
Melisanda, la dolce, piange presso la fonte.
L'incantesimo
Melisanda, la dolce, ha smarrito la strada:
Pelleas, giglio azzurro d'un giardino imperiale,
la reca tra le braccia, come un cesto di frutta.
Il colloquio meravigliato
PELLEAS
Io andavo lungo il sentiero, tu venivi,
il mio amore, cadde tra le tue braccia, il tuo amore tremò
nelle mie.
Da allora il mio cielo di notte ebbe stelle
e per raccoglierle la tua vita si fece fiume.
Per le ogni roccia che toccheranno le mie mani
dev'essere sorgente, aroma, frutto e fiore,
MELISANDA
Per te ogni spiga deve stringere il suo grano
e in ogni spiga deve sgranarsi il mio amore.
PELLEAS
M'impedirai, in cambio, dì guardare la strada
quando verrà la morte per lasciarla tronca.
MELISANDA
Ti copriranno i miei occhi come una doppia benda.
PELLEAS
Mi parlerai d'una strada che non finirà mai.
La musica che occulto per incantarti fugge
lungi dalla canzone che gorgoglia e rimbalza:
come una via lattea dal mio petto fluisce.
MELISANDA
Tra le tue braccia s'impigliano le stelle più alte.
Ho paura. Perdona se non son giunta prima.
PELLEAS
Un tuo sorriso cancella tutto un passato:
conservino le tue dolci labbra ciò che è ormai distante.
MELISANDA
In un bacio saprai tutto ciò che ho taciuto.
PELLEAS
Forse non saprò allora conoscere la tua carezza,
perché nelle mie vene il tuo essere si sarà fuso.
MELISANDA
Quando morderò un frutto tu saprai la sua delizia.
PELLEAS
Quando chiuderai gli occhi resterò addormentato.
La chioma
Pesante, densa e rumorosa,
alla finestra del castello
la chioma dell'Amata
è un lampadario giallo.
— Le tue mani bianche sulla mia bocca.
— La mia fronte sulla tua fronte di luna.
Pelleas, ebbro, barcolla
sotto la selva profumata.
— Melisanda, un levriero ulula
per le strade de! villaggio.
— Ogni volta che ululano i levrieri
muoio di spavento, Pelleas.
— Melisanda, un corsiero galoppa
presso il bosco d'allori,
— Tremo, Pelleas, nella notte
quando galoppano i corsieri.
— Pelleas, qualcuno m'ha toccato
la tempia con una mano fine.
— Sarà un bacio del tuo amato
o l'ala d'una rondinella.
Alla finestra del castello
è un lampadario giallo
la chioma miracolosa.
Ebbro. Pelleas impazzisce.
Anche il suo cuore vorrebbe
essere una bocca che la bacia.
La morte di Melisanda
All'ombra degli allori
Melisanda sta morendo.
Morirà il suo corpo lieve.
Sotterreranno il suo dolce corpo.
Uniranno le sue mani di neve.
Lasceranno aperti i suoi occhi
perché illuminino Pelleas
fino a dopo che sarà morto.
All'ombra degli allori
Melisanda muore in silenzio.
Per lei piangerà la fonte
un pianto tremulo e etemo.
Per lei pregheranno i cipressi
inginocchiati sotto il vento.
Vi saran galoppi di corsieri,
latrati lunari di cani.
All'ombra degli allori
Melisanda sta morendo.
Per lei il sole nel castello
si spegnerà come un infermo.
Per lei morirà Pelleas
quando lo porteranno al sepolcro.
Per lei vagherà di notte,
moribondo per i sentieri.
Per lei calpesterà le rose,
inseguirà le farfalle
e dormirà nei cimiteri.
Per lei, per lei, per lei
Pelleas, il principe, è morto.
Canzone degli amanti morti
Lei era bella ed era buona.
Perdonala, Signore!
Lui era dolce ed era triste.
Perdonalo, Signore!
S'addormentava tra le sue braccia bianche
come un'ape in un fiore.
Perdonalo, Signore!
Amava le dolci canzoni,
lei era una dolce canzone!
Perdonala, Signore!
Quando parlava era come se qualcuno
avesse pianto neila sua voce.
Perdonalo, Signore!
Lei diceva: “Ho paura.
Sento una voce in lontananza”.
Perdonala, Signore!
Lui diceva: "La tua piccola
mano sulle mie labbra”.
Perdonalo, Signore!
Guardavano insieme le stelle.
Non parlavano d'amore.
Quando moriva una farfalla
piangevano entrambi.
Perdonali, Signore!
Lei era bella ed era buona.
Lui era dolce ed era triste.
Morirono dello stesso dolore.
Perdonali,
perdonali,
perdonali. Signore!
Finale
Furon create da me queste parole
con sangue mio, con dolori miei
furon create!
Lo capisco, amici, capisco tutto.
Voci altrui si mescolarono alle mie,
lo capisco, amici!
Come se volessi volare e a me giungessero
in aiuto le ali degli uccelli,
tutte le ali,
cosi vennero queste parole straniere
a sciogliere l'oscura ebbrezza della mia anima.
E’ l'alba e sembra
che non mi si stringessero le angosce
in nodi cosi terribili intorno alla gola.
E tuttavia,
furon create
con sangue mio, con dolori miei,
furon create da me queste parole!
Parole per la gioia
quando il mio cuore era
una corolla di fiamme,
parole del dolore che inchioda,
degli istinti che rimordono,
degli impulsi che minacciano,
degli infiniti desideri,
delle inquietudini amare,
parole dell'amore, che nella mia vita fiorisce
come una terra rossa piena di “umbelas” bianche.
Non stavano in me. Mai vi stettero.
Bambino il mio dolore fu grido
e la mia gioia fu silenzio.
Poi gli occhi
dimenticarono le lacrime
spazzate via dal vento del cuore di tutti.
Ora, ditemi, amici,
dove nascondere quell'acuta
furia dei singhiozzi.
Ditemi, amici, dove
nascondere il silenzio, perché mai nessuno
lo sentisse con gli orecchi o con gli occhi.
Vennero le parole, e il mio cuore,
incontenibile come un'alba,
si ruppe nelle parole e si unì al loro volo,
e nelle loro fughe eroiche Io portano e lo trascinano,
abbandonato e pazzo, dimenticato sotto esse
come un uccello morto, sotto le loro ali.